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Indagine Tecnè: flussi di voto, Pd primo partito

L'articolo è stato pubblicato su l'Unità del 30 ottobre
di Carlo Buttaroni

PD primo partito, centrosinistra in vantaggio di 11 punti sulla coalizione di Governo e consolidamento di un’area terzo-polista che, secondo la rilevazione, negli ultimi mesi si colloca stabilmente tra l’11% e il 13%.
Sono questi i dati più rilevanti dell’indagine Tecnè sulla situazione politica e sui flussi di voto.
La crisi economica, quindi, fa sentire i suoi effetti. La ricerca evidenzia, infatti, una diminuzione costante di consensi al partito del Presidente del Consiglio (-4,5% rispetto ad aprile 2010 e -12,4% rispetto alle politiche 2008) e all’alleanza formata da PDL, Lega nord e Destra (-7,5% rispetto ad aprile e -13,6% rispetto alle politiche).
Il sorpasso del centrosinistra è iniziato poco prima dell’estate – alimentandosi anche della mobilitazione referendaria sull’acqua e sul nucleare – ed è maturato negli ultimi mesi con l’inasprirsi della crisi finanziaria.
Ad aprile le due principali coalizioni si trovavano in una situazione di sostanziale parità; a giugno il centrosinistra registra un vantaggio di quasi 4 punti, che diventano 8 a luglio e 11 tra settembre e ottobre.
Quanto la crisi finanziaria si avviti con la crisi politica lo evidenzia la diminuzione dell’area della partecipazione che passa dal 77,5% delle politiche, al 71,6% di aprile e al 66,6% di ottobre.
La crisi della coalizione di Governo è ancora più evidente se si analizza l’andamento del consenso, calcolato non solo tra chi esprime il voto ma su tutti gli aventi diritto.
Dal 37,3% delle politiche 2008, il centrodestra scende, infatti, al 30,1% di aprile e al 23,1% di ottobre.
Il flusso in uscita di consensi si orienta prevalentemente verso l’area del non voto e la Lega Nord non sembra in grado di attrarre gli elettori che abbandonano il partito di Berlusconi.
Al contrario, nelle 10 rilevazioni prese in esame, il centrosinistra fa registrare una sostanziale stabilità di consensi (tra il 30% e il 33%).
Il vantaggio del centrosinistra non nasce soltanto dalla stabilità elettorale ma dalla capacità di compensare al suo interno i flussi di consenso in uscita dai singoli partiti. Nel complesso, infatti, la base elettorale del centrosinistra si sposta a sinistra – a favore soprattutto di SEL e IDV – e diminuisce il peso del Partito Democratico all’interno della coalizione: alle politiche del 2008, ogni 100 voti ottenuti dai partiti di centrosinistra, 80 provenivano da elettori del PD, mentre a ottobre la quota scende a 60. Al contrario, il peso del PDL, all’interno del centrodestra, non cambia di molto rispetto alle politiche: nel 2008 era pari al 78%, oggi è al 72%. Segno evidente che è l’intera coalizione di centrodestra a perdere consensi.
Dai dati emerge, inoltre, la corrispondenza tra crisi economica e comportamento elettorale: al crescere del disagio si registra una diminuzione della partecipazione elettorale e l’aumento contestuale del consenso ai partiti che sembrano interpretare meglio la protesta.
Più di ogni altra cosa l’indagine fotografa il passaggio politico che si sta consumando in questi mesi. Sotto la spinta della crisi sembra volgere al termine una stagione che ha visto come principale protagonista Silvio Berlusconi.
Un distacco che matura nell’opinione pubblica dieci anni dopo il “patto con gli italiani”, siglato nella trasmissione di Bruno Vespa, in cui si annunciava una rivoluzione infrastrutturale e un nuovo miracolo.
E forse è proprio aver portato così in alto le attese a segnare così fortemente il distacco. Dopo dieci anni le strade italiane sono ancora la metà di quelle tedesche e francesi e nel cassetto rimangono 250 opere strategiche, il cui costo di realizzazione equivale a 125 miliardi, ma con risorse pari circa a un terzo del fabbisogno.
Anche gli italiani si scoprono più poveri, compresi quelli che lavorano. Lo stipendio medio di un dipendente colloca, oggi, l’Italia nella parte bassa della classifica europea e i lavoratori italiani, con meno di 15 mila euro l’anno, percepiscono un reddito netto pari al 56% di quello degli inglesi, al 71% di quello dei tedeschi, all’83% di quello dei francesi e all’88% di quello degli spagnoli.
Nonostante gli stipendi siano più bassi, il costo della vita è, invece, tra i più alti: fatta 100 la media dei Paesi della zona euro, l’Italia è a quota 104 e una giornata tipo – fatta di colazione, spostamenti, spesa, telefonate, eccetera – impegna l’84% dello stipendio. In Germania è circa la metà (43%), in Spagna è il 59%, in Francia il 61%, in Inghilterra il 59%. Senza calcolare i costi dell’abitazione.
A dieci anni dal patto con gli italiani – 8 dei quali al governo del Paese – delle promesse di Berlusconi sono rimaste poche tracce.
Al contrario, il futuro si è fatto più minaccioso, la forbice delle iniquità si è aperta, sono aumentate le famiglie povere e le nuove generazioni hanno di fronte la prospettiva di una condizione che sarà sicuramente peggiore a quella dei loro genitori.
Sicuramente solo una parte delle responsabilità sono imputabili a Silvio Berlusconi e al suo Governo, ma del miracolo annunciato dieci anni fa si è perso persino l’eco delle parole pronunciate, in un progressivo calo di frequenza e d’intensità che è tutto nei numeri dell’indagine.

 

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