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Povertà in Italia, nell’anno della pandemia si azzerano i miglioramenti

La povertà assoluta torna e crescere e tocca il valore più elevato dal 2005. L’incremento è maggiore nel Nord

di Redazione

La povertà assoluta torna a crescere e tocca il valore più elevato dal 2005. L’anno di pandemia ha dunque provocato danni all’economia, colpendo soprattutto le famiglie, anche quelle con persona di riferimento occupata. Le stime preliminari del 2020 dell’Istat indicano valori dell’incidenza di povertà assoluta in crescita sia in termini familiari (da 6,4% del 2019 al 7,7%, +335 mila), con oltre due milioni di famiglie, sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%, vale a dire oltre un milione in più) che si attestano a 5,6 milioni.

Nell’anno della pandemia si azzerano i miglioramenti registrati nel 2019, spiega l’Istat. Dopo quattro anni consecutivi di aumento, si erano infatti ridotti in misura significativa il numero e la quota di famiglie (e di individui) in povertà assoluta, pur rimanendo su valori molto superiori a quelli precedenti la crisi del 2008, quando l’incidenza della povertà assoluta familiare era inferiore al 4% e quella individuale era intorno al 3%. Pertanto, secondo le stime preliminari del 2020 la povertà assoluta raggiunge, in Italia, i valori più elevati dal 2005 (ossia da quando è disponibile la serie storica per questo indicatore).

L’incremento della povertà assoluta è maggiore nel Nord del paese e riguarda 218 mila famiglie (7,6% da 5,8% del 2019), per un totale di 720 mila individui. Peggiorano anche le altre ripartizioni, ma in misura meno consistente. Il Mezzogiorno resta l’area dove la povertà assoluta è più elevata: coinvolge il 9,3% delle famiglie contro il 5,5% del Centro.

Ad eccezione delle famiglie unipersonali, che presentano un’incidenza di povertà stabile (5,7%), una più ampia diffusione della povertà assoluta riguarda tutte le famiglie, ma in misura più rilevante quelle con un maggior numero di componenti. Se, infatti, fino a quattro componenti l’incremento si mantiene sotto i due punti percentuali o poco più (per le famiglie di due persone passa dal 4,3% al 5,7%, per quelle con tre dal 6,1% all’8,6%, per quelle con quattro dal 9,6% all’11,3%), per quelle con almeno cinque persone peggiora di oltre quattro punti, passando dal 16,2% al 20,7%.

La crisi ha colpito in modo particolare le famiglie in cui la persona di riferimento (p.r.) è nella fase centrale dell’esistenza lavorativa. Per quelle con p.r. tra i 35 e i 44 anni e tra i 45 e i 54, l’incidenza di povertà assoluta cresce rispettivamente dall’8,3% al 10,7% e dal 6,9% al 9,9%. Sono infatti le famiglie con p.r. occupata a risentire di più degli effetti della crisi (l’incidenza passa dal 5,5% al 7,3%), mentre per quelle con p.r. in cerca di occupazione la situazione già grave si mantiene stabile (19,7%); sostanzialmente inalterata e a un livello contenuto è l’incidenza per le famiglie con p.r. ritirata dal lavoro (da 4,3% del 2019 a 4,4% nel 2020). Tutte le famiglie di questa tipologia vedono peggiorare la propria condizione: per quelle con p.r. dipendente l’incidenza di povertà assoluta passa dal 6% al 7,8% (se la p.r. è un operaio o assimilato dal 10,2% al 13,3%), per quelle con p.r. indipendente dal 4,0% al 6,1% (in particolare per i lavoratori in proprio dal 5,2% al 7,6%).

 

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