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Il quadro economico internazionale

Il 2022 si è aperto con una stabilizzazione del commercio mondiale di merci in volume e un deterioramento delle prospettive per gli scambi. Il conflitto in Ucraina accentua le tensioni nei mercati delle materie prime

di Redazione

Non solo la pandemia, anche il conflitto tra Ucraina e Russia è ora un ulteriore motivo di rischio al ribasso per l’economia italiana e mondiale. In generale, quest’ultimo, osserva l’Istat nella consueta Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana (marzo 2022) diffusa mercoledì 13 aprile, «ha aumentato l’incertezza e accentuato fortemente le tensioni nei mercati delle materie prime». Tuttavia, viene anche precisato, «l’impatto della guerra sull’economia italiana rimane di difficile misurazione e si innesta all’interno di una fase del ciclo caratterizzata da una crescita di alcuni settori economici, degli investimenti e del mercato del lavoro. Nonostante l’accelerazione dell’inflazione, l’attuale tasso di investimento, tornato ai livelli del 2008, e l’ancora elevata propensione al risparmio potrebbero rappresentare punti di forza per lo sviluppo dell’economia nei prossimi mesi». Ma come appare, invece, il quadro internazionale alla luce di tali incertezze?

Il 2022, spiega appunto l’Istat, si è aperto con una stabilizzazione del commercio mondiale di merci in volume e un deterioramento delle prospettive per gli scambi internazionali. Il PMI globale sui nuovi ordinativi all’export di marzo è, infatti, sceso sotto la soglia di espansione, segnalando una possibile contrazione della domanda internazionale nei prossimi mesi. Nello scenario globale, nelle ultime settimane, alla crisi sanitaria in attenuazione si è sovrapposto il conflitto provocato dall’invasione russa in Ucraina. Quest’ultimo, la cui evoluzione al momento è estremamente incerta, ha accentuato le tensioni nei mercati delle materie prime innescate già nel 2021 dai vincoli all’offerta. A marzo, hanno continuato ad aumentare esponenzialmente anche in termini congiunturali i prezzi del gas europeo (+56%) e, in misura minore, quelli del petrolio (+21%) e dei beni alimentari (+11,6%). Tali andamenti hanno alimentato ulteriormente le già diffuse pressioni inflattive che potrebbero rappresentare un deciso freno alla crescita, soprattutto dei paesi europei maggiormente dipendenti dalle importazioni di commodity da Russia e Ucraina. 

L’accelerazione dell’inflazione si è manifestata prima negli Stati Uniti spinta anche dalla forte ripresa dell’economia; il tasso tendenziale di inflazione al consumo a marzo ha toccato i valori massimi dell’8,5%. Dalla fine dello scorso anno, l’aumento dei prezzi si è diffuso velocemente anche all’area dell’euro, alimentato dal forte aumento delle quotazioni del gas sul mercato europeo. A marzo, in termini tendenziali l’inflazione euro headline (7,5% da 5,9% di febbraio), e quella core, al 3,2%, si sono collocate sui massimi dal 1998, spinte dall’andamento dei prezzi energetici ma con aumenti diffusi a tutte le componenti.

In Cina, al contrario, la dinamica dei prezzi è stata modesta grazie ai listini dei prodotti alimentari condizionati dalle nuove misure di lockdown e da alcuni fattori temporanei (il crollo dei prezzi della carne di maiale dai livelli elevati raggiunti a causa del taglio di produzione per l’influenza suina). A marzo, però, anche l’inflazione al consumo cinese ha registrato un significativo aumento (+1,5% tendenziale da +0,9% di febbraio).

Nonostante la possibilità di effetti economici negativi dovuti all’inatteso scoppio del conflitto, le principali banche centrali hanno confermato un percorso di normalizzazione della politica monetaria. La Federal Reserve a marzo ha attuato il primo rialzo dei tassi d’interesse di 25 punti base e ne ha annunciati altri sei. Anche la Bce ha avviato un processo di riduzione della liquidità nel sistema sebbene con un passo più lento. La prospettiva di una politica monetaria più restrittiva e la preferenza degli investitori per mercati più stabili, hanno determinato l’apprezzamento del dollaro che lo scorso mese è stato scambiato in media a 1,10 dollari per euro (1,13 dollari per euro a febbraio). Le prospettive per l’economia americana restano moderatamente positive, la fiducia dei consumatori rilevata lo scorso mese dal Conference Board ha registrato un modesto rialzo, in particolare sono migliorate le condizioni correnti per economia e mercato del lavoro mentre sono peggiorate le aspettative per il futuro. Nell’area dell’euro i dati congiunturali incorporano solo in parte gli effetti delle tensioni geopolitiche. A febbraio, le vendite al dettaglio in volume sono cresciute dello 0,3% congiunturale (+0,2% il mese precedente). 

Tutte le principali componenti di spesa hanno superato i livelli pre-Covid, con l’esclusione di carburanti e abbigliamento, che continuano a risentire delle residue limitazioni alla mobilità dovute alla crisi sanitaria. Nello stesso mese, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8% (+6,9% a gennaio).

 

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