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Le mosse delle banche centrali per contenere l’inflazione

Fed e Bce proseguono con nuovi aumenti dei tassi. Lo scopo è frenare il rialzo dei prezzi, non senza qualche difficoltà diffusa per famiglie e imprese

di Redazione

Sulla scia della decisione presa dalla statunitense Fed, che nelle scorse ore ha confermato la volontà di alzare i tassi di interesse dello 0,25% (in questo modo il costo del denaro sale tra il 4,5% e il 4,75%, ai massimi da settembre 2007), anche la Banca centrale europea (Bce) ha annunciato oggi, giovedì 2 febbraio 2023, un nuovo aumento dei tassi dello 0,50%, dunque ora al 3%, al massimo dal 2008. Le mosse delle banche centrali sono orientate ad arginare l’alta inflazione che ha caratterizzato il 2022, sebbene in rallentamento – come emerso dagli ultimi dati – tanto negli Stati Uniti quanto nell’Eurozona.

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Foto di Lorenzo Cafaro da Pixabay

Sebbene il ritocco stabilito dalla Fed risulti essere di entità inferiore rispetto ai precedenti (0,75% a novembre 2022 e 0,50% a dicembre), il processo di disinflazione – per riprendere le parole di Jerome Powell, capo della Federal Reserve – è lo strumento con cui le banche centrali provano a normalizzare la situazione dopo un lungo periodo di rialzo dei prezzi. Dunque le misure erano attese, anche nel Vecchio continente, sebbene, secondo l’Eurostat, l’inflazione dell’Eurozona sia scesa a gennaio all’8,5% dal 9,2% di dicembre, con i prezzi al consumo in flessione al livello più basso dallo scorso maggio. Ma molti osservatori ritengono sia presto per cantare vittoria, dunque non si possono escludere ulteriori interventi nel medio periodo.  

L’impennata dell’inflazione può dipendere da molti fattori, nell’ultimo periodo hanno avuto un notevole impatto le misure varate durante la pandemia da Covid-19 per permettere all’economia di ripartire – un’iniezione di aiuti e sostegni che ha contribuito a gonfiare i prezzi di beni e servizi – dopo i vari lockdown e un deterioramento della situazione provocato dalla guerra in Ucraina, con ulteriori ripercussioni su energia e materie prime. Tale scenario comporta una perdita del potere d’acquisto delle famiglie e, nei casi più gravi, arriva a intaccare i risparmi. In questo senso, però, anche l’aumento dei tassi può rappresentare un freno: rallentano i consumi (diventa più difficoltoso l’accesso al credito per comprare, ad esempio, una casa), ma anche gli investimenti, con le aziende che preferiscono rimandare eventuali spese utili in termini di produzione. Dunque, una riduzione complessiva della domanda, provoca a sua volta una discesa dei prezzi. L’obiettivo, in questo senso, è perciò quello di riportare l’economia su valori stabili, così da concedere poi una ripartenza. 

Oltretutto un’inflazione alta colpisce più le persone povere di quelle ricche, avendo una minore capacità di risparmiare e accantonare somme, considerando che difficilmente si può rinunciare a beni di prima necessità quali il riscaldamento per la casa, l’acqua e il cibo. Ecco perché l’obiettivo della Bce, così come di altre banche centrali, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Nell’Eurozona per stabilità dei prezzi si intende un tasso di inflazione pari all’incirca al 2% nel medio periodo, un livello in grado di sostenere l’economia senza però scadere nella deflazione. Quest’ultima, al contrario, è una riduzione continua dei prezzi, altrettanto dannosa perché spinge le famiglie consumatrici e le aziende a rimandare acquisti e investimenti in attesa di nuovi cali, con effetti negativi sull’andamento generale dell’economia. 

 

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