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L’analisi

di Antonio Caputo

Dopo l’Iowa, il New Hampshire, tradizionalmente la seconda tappa della marcia di avvicinamento alla Casa Bianca. Così come nei caucus dello Stato del Mid West, anche nelle primarie di questo piccolo Stato del Nordest, entrambi i partiti hanno tenuto la loro competizione.
Tra i Democratici, scontata la vittoria di Obama che però, a differenza della settimana scorsa in Iowa, non ha corso da solo: c’erano infatti diversi candidati di contorno, soprattutto “write-in”, ossia scritti direttamente dagli elettori sulla scheda; al Presidente uscente è andato l’82% dei voti; tra candidati ufficiali minori, write-in e voto neutrale (uncommitted) c’è stato quasi il 18% di chi ha votato alle primarie democratiche (all’incirca 60000 elettori, non pochi per una nomination scontata) che non ha dato la propria preferenza ad Obama

La competizione reale era però in campo repubblicano: senza sorprese la vittoria (larga) di Romney, che si è aggiudicato poco meno del 40% dei circa 250.000 votanti. In New Hampshire, d’altronde, l’ex Governatore del confinante Massachusetts giocava in casa; cosa che non gli evitò, quattro anni fa, una sconfitta contro il Senatore Mc Cain (che in New Hampshire trionfò alle primarie anche nel 2000, travolgendo Bush) il quale dal successo in New Hampshire partì per la conquista della nomination nel 2008, e che quest’anno si è schierato per Romney.

Secondo, con un più che discreto 23%, il deputato libertario Ron Paul, che, come in Iowa, raddoppia le proprie preferenze, se confrontate con quattro anni fa, incassando, anche in questo caso come al caucus di una settimana fa, il voto degli indipendenti (i non Repubblicani) e dei giovani, e sul quale (dopo le fiammate delle pasionarie Sarah Palin e Michelle Bachmann) sembra convergere il voto anti tasse degli attivisti Tea Party
L’unica vera sorpresa dal voto del New Hampshire è però arrivata dal terzo posto conseguito dall’ex Governatore dello Utah, nonché ex ambasciatore in Cina, John Huntsmann, anch’egli, come Romney, mormone. Huntsmann, moderato-progressista, anomalia tra i Repubblicani, ha incassato ben il 17% dei voti, il doppio, in pratica, delle previsioni della vigilia, forte dell’endorsment del prestigioso quotidiano Boston Globe. In New Hampshire, Stato laico e moderato evidentemente le idee progressiste dell’ex ambasciatore a Pechino hanno fatto breccia tra gli elettori.

Testa a testa per il quarto posto (divisi, a scrutinio quasi terminato, da un centinaio di voti) tra l’ex Speaker della Camera, Newt Gingrich, e l’ex Senatore italo americano Rick Santorum, sorpresa dell’Iowa, entrambi al 9,5%. Sulla via del ritiro, invece, il Governatore del Texas Rick Perry fermo sotto l’1%.
Il calo di Gingrich (un mese fa era al 22% nei sondaggi, appena 10-12 punti sotto Romney) fa il paio con quello dell’Iowa e lo pone fuori dai giochi, salvo, a questo punto improbabili, clamorose sorprese. Non sfonda neppure Santorum, che data, evidentemente, la base più laica e progressista dello Stato di granito (il New Hampshire) rispetto all’Iowa, non riesce a bissare in quel di Concord il buon risultato conseguito a Des Moines e dintorni.

A differenza di Gingrich, Santorum non è ancora fuori dai giochi, per quanto il successo di Romney ponga l’ex Governatore del Massachusetts come il vero favorito. La competizione ora si sposta, infatti, al Sud (prossimi appuntamenti: primarie in South Carolina sabato 21; e in Florida martedì 31 gennaio) dove, specialmente in South Carolina a dire il vero, torna forte il peso del voto religioso soprattutto evangelico, schieratosi (per quel poco che contava) anche in New Hampshire con l’ex senatore italo americano, il quale evidentemente, sembra aver abbattuto il muro di diffidenza verso i cattolici, sentimento molto radicato tra i Repubblicani (specialmente i protestanti conservatori del Sud), fino a pochissimo tempo fa.
Dieci – quindici giorni, quindi, e vedremo se Romney sarà il candidato inevitabile, o se la battaglia per la candidatura proseguirà ancora: in quel caso, potrebbe succedere davvero di tutto.

 

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