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Il Giappone un anno dopo il disastro

“Manterremo viva la memoria per le generazioni future, per rafforzare la prevenzione”. Quando a parlare in termini di prevenzione è il premier di un Paese abituato alle scosse sismiche e che sulla tecnologia e sull’innovazione ha basato la propria prosperità economica, allora c’è di che riflettere. E’ l’emblema ultimo di come la prevenzione, in definitiva, non sia mai troppa. A distanza di un anno i giapponesi lo hanno più che compreso.
L’11 marzo del 2011, alle 14.46 ora locale, una sisma di magnitudo 9 provocò lo tsunami che investì le regioni costiere del Tohoku. Di lì la successiva crisi nucleare causata dei danneggiamenti alla centrale situata nella prefettura di Fukushima. Il bilancio definitivo del cataclisma fu di 15 mila vittime e più di tremila dispersi, 27 mila i feriti.

Il disastro nucleare – classificato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica al massimo livello, il settimo, come quello di Chernobyl – ha costretto molti dei residenti della prefettura alla “fuga”, scesi in un anno di 43 mila unità. Tutto ciò mentre i tecnici sono ancora al lavoro per rimuovere i materiali radioattivi.
La sciagura ha posto al centro del dibattito mondiale la questione nucleare (ripercussioni si ebbero anche in Italia con il passo indietro del governo Berlusconi che aveva precedentemente stipulato accordi con la Francia e il successivo referendum che bocciò, per la seconda volta, il ricorso all’altomo). Al momento in Giappone molti degli impianti sono stati chiusi, anche sulla spinta emotiva della popolazione che in più occasioni ha manifestato contro l’energia atomica. Quelli già chiusi per la manutenzione annuale non sono stati riaperti, ma l’attuale premier Yoshihiko Noda è favorevole a un graduale ripristino delle centrali. A settembre 2011, a Tokyo, si tenne una massiccia manifestazione (parteciparono circa 30 mila persone) contro l’atomo.

A pochi giorni dal terremoto sorpresero le immagini di strade distrutte e ricostruite in tempi record. Tuttavia, a distanza di un anno, c’è ancora molto da fare e si stima che alla fine il costo della ricostruzione supererà i 92 miliardi di dollari.
A risentire in particolare del disastro sono stati i bambini. “La catastrofe che si è abbattuta sul Giappone l’anno scorso ha messo i più piccoli e le loro famiglie in una condizione estremamente difficile. In tutto il Giappone – fa sapere Save The Children – sono 25 mila i bambini che hanno dovuto abbandonare la propria casa, adattarsi ad una nuova città, uno spazio domestico non familiare, una nuova scuola e nuovi amici, vivendo disagi che per molti si sommavano alla perdita di persone care”.
Domenica è stato il giorno della commemorazione a cui ha partecipato anche l’imperatore Akihito nonostante le precarie condizioni di salute. Alle 14,46, proprio come l’anno scorso, il Giappone si è fermato per pochi istanti.

 

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