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Una Cina preoccupata

La successione che inquieta la Cina
di Gianni Riotta

Una sola volta dal 1949, quando il partito comunista di Mao Ze Dong prese il potere in Cina, i cambi di leadership a Pechino si sono svolti senza trame sanguinose, colpi di Stato tentati e repressi, faide atroci tra fazioni. Nel 2002, durante la grande riforma economica che dal 1981 ha trasformato 630 milioni di cinesi poveri in operai e ceto medio, Jiang Zemin riesce a passare le consegne all’attuale presidente, Hu Jintao. Tutte le altre sfide, con i titani Mao, Zhou en Lai, Lin Biao, Lu Shaoqi, Hua Guofeng, Zhao Ziyang, intenti a manovrare masse sterminate in intrighi rinascimentali, hanno visto il grande paese perdersi in violenze e tensioni.

Che l’anarchia possa ripetersi era lo spettro più temuto da Deng Xiaoping, come testimonia la monumentale biografia che gli ha dedicato Ezra Vogel: lavorava perché la Cina non si disgregasse come l’Urss, o cadesse preda di una tragica versione delle antiche rivolte dei Signori della Guerra, caos assoluto e senza pace che i film del regista Zhang Yimou cercano di esorcizzare. La repressione a piazza Tien An Men e la fine politica di Zhao Ziyang si spiegano anche così. E’ ancora oggi la paura del Partito comunista cinese, e il rinnovo previsto per l’autunno con le dimissioni di Hu e l’insediamento di Xi Jinpin, deve appassionarci, almeno quanto l’elezione alla Casa Bianca: perché può avere conseguenze assai maggiori dello scontro Obama-Romney sulla politica ed economia del nostro mondo.

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