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Tibet, la rivolta dimenticata

«Armoniose», così ieri il ministero degli esteri di Pechino ha definito le relazioni tra i circa duemila monaci del monastero buddista di Kirti e le forze di polizia cinesi che da settimane lo stringono d’assedio. In realtà la situazione è tutt’altro che «armoniosa». L’intera contea di Nagba, oggi parte della regione dello Sichuan, è teatro di numerose manifestazioni dopo che lo scorso 16 marzo un giovane monaco di nome Puntsok si è dato fuoco per protesta contro l’occupazione del Tibet. Ed è morto il giorno seguente. Da allora la Polizia Armata di Pechino ha represso duramente tutti coloro che sono scesi nelle strade per chiedere libertà religiosa e di espressione. E il 12 aprile alcune migliaia di persone hanno frapposto una vera e propria barriera umana nel tentativo di impedire che i poliziotti entrassero nel monastero per arrestare i religiosi sospettati di «attività controrivoluzionarie» e deportare tutti quelli compresi tra i 18 e i 40 anni.

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