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Il divario occupazionale (e di stipendi) tra uomini e donne

La commissione Lavoro del Senato ha approvato mercoledì all’unanimità un ordine del giorno presentato dalla senatrice dell’Idv, Giuliana Carlino, con cui si impegna il governo a superare il divario tra le retribuzioni tra uomini e donne entro il 2016.
Si tratta di un passo decisivo in avanti, non fosse altro che – e su queste pagine non ci siamo mai stancati di ripeterlo – il divario, su diversi livelli, tra donne e uomini ha caratterizzato da sempre la vita sociale del nostro Paese. Nell’ordine del giorno, non a caso, si ricorda che “rispetto alle lavoratrici degli altri Paesi dell’Unione europea, per le italiane le condizioni di lavoro sono meno favorevoli sia per la qualità dell’attività, sia per il salario medio (inferiore del 20 per cento, in media, rispetto agli uomini), sia per la possibilità di coniugare i tempi di vita con quelli di lavoro”. Del resto dimenticarlo sarebbe impossibile. I dati Istat, contenuti all’interno del rapporto annuale, delineano perfettamente la situazione. “Le minori opportunità di occupazione e i guadagni più bassi delle donne, insieme alla instabilità del lavoro, sono fra le principali cause di disuguaglianza in Italia”, sentenzia l’Istituto nazionale di statistica. “La probabilità di trovare lavoro per le madri rispetto ai padri – prosegue – è nove volte inferiore nel Nord, dieci nel Centro e ben 14 nel Mezzogiorno. L’instabilità del lavoro genera disuguaglianze soprattutto per i giovani, che rischiano più degli altri di lavorare a lungo come atipici”.
L’Istat ricorda ancora: “Il divario di reddito fra uomini e donne è forte, inizia dai redditi medio-bassi e diventa più ampio al crescere del reddito”.
È una condizione che contempla tutte le fasce di età e che, dunque, non fa particolari distinzioni. Alle difficoltà delle madri, infatti, devono essere sommate quelle delle neolaureate, come riferisce l’ultimo Rapporto AlmaLaurea. Tra i laureati specialistici biennali, a un anno dalla laurea, il divario è di sette punti percentuali: lavora il 61% degli uomini e il 54% delle donne. Gli uomini possono contare più delle colleghe su un lavoro stabile (37% contro il 31%). Gli uomini, inoltre, guadagnano il 29% in più delle loro colleghe (1.231 euro contro 956 in termini nominali).
A tre anni dalla laurea le differenze di genere si confermano significative e pari a sette punti percentuali: lavorano 71 donne e 78 uomini su cento. Anche a tre anni dal conseguimento del titolo il lavoro stabile è prerogativa tutta maschile: può contare su un posto sicuro, infatti, il 66% degli occupati e il 49% delle occupate. I laureati specialistici del 2008 guadagnano il 28% in più delle loro colleghe (1.432 contro 1.115 euro).
Tutto ciò, afferma sempre l’Istat, a fronte di una maggiore istruzione delle donne rispetto agli uomini. “Fra i nati nel periodo 1940-1949, si erano laureati il 10,6 per cento degli uomini e il 7,3 per cento delle donne; mentre fra i nati negli anni 1970-1979 è laureato il 21,7 per cento delle donne e il 15,2 per cento degli uomini. Il fenomeno ha riguardato tutte le classi sociali”.

 

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