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“Elezione diretta del capo dello Stato”

di Fabio Germani (ha collaborato Antonio Caputo)

Partiamo dalla fine, che poi è l’inizio. A un certo punto, durante, la conferenza stampa di venerdì in Senato in cui Silvio Berlusconi e Angelino Alfano avrebbero dovuto annunciare quella che alcune settimane fa lo stesso segretario del Pdl aveva definito “la più grossa novità della politica italiana”, il più giovane dei due, riferendosi all’altro, ha affermato: “Come dice il presidente Repubblica, volevo dire il presidente Berlusconi…”. Il più classico dei lapsus, di quelli che resta il dubbio che sotto sotto, chissà… Non si è dovuto attendere molto, infatti, prima che i giornali iniziassero a sentenziare sulla nuova “discesa in campo” del Cavaliere, con un traguardo ben preciso: il Quirinale. Ma queste sono supposizioni, istigate molto più dalle dichiarazioni di Berlusconi il quale ha risposto schivo alle domande incalzanti dei giornalisti su una possibile ricandidatura: “Farò quello che mi chiederà il Popolo delle libertà. Non è una mia ambizione personale, ma ci sono delle responsabilità che non si possono ignorare”.
Berlusconi e Alfano hanno illustrato la proposta del Pdl, che altro non è che la messa in pratica di uno dei capisaldi dell’ex premier. Vale a dire l’elezione diretta del presidente della Repubblica. L’eventualità è stata evocata sulla base del modello francese: “Vogliamo continuare ad essere nella situazione di Atene, cioè di ingovernabilità, o vogliamo la situazione della Francia che in poco tempo ha un nuovo governo subito operativo? Meglio il sistema francese. Abbiamo deciso di compiere il gesto ardito di presentare al Paese, alla maggioranza e all’opposizione una possibilità di modernizzazione l’Italia, dando la possibilità di incidere direttamente attraverso elezioni primarie sulla scelta del capo dello Stato”.
Prima di lanciarci in qualsiasi tipo di riflessione politologica e/o comunicativa (se non di stampo psicologico) sulla figura del leader che di pensionamento non vuol sentir parlare, entriamo nel merito della questione e proviamo a capire di cosa stiamo parlando.
In Francia vige un sistema di semipresidenzialismo. La differenza tra sistema presidenziale e semipresidenziale, molto semplicemente, non sta tanto nell’elezione diretta o meno del capo dello Stato, quanto nel rapporto tra esecutivo e legislativo. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove è presente un sistema presidenziale, il presidente è sia capo dello Stato sia di governo. In Francia, al contrario, è prevista l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma non del premier. Ciò significa che il primo, per essere in qualche modo il “regista” unico dell’operato di governo, necessita della maggioranza parlamentare. Circostanza che, tuttavia, non sempre è scontata. Un siffatto modello, inoltre, imporrebbe anche un inevitabile rinnovamento del sistema partitico. Il sistema politico francese è d’impronta bipolare, ma non per via del sistema elettorale a doppio turno per l’elezione dell’Assemblea nazionale, bensì proprio per l’elezione diretta del capo dello Stato. I partiti sono cioè strutturati sulla figura del presidente della Repubblica e non sulla formula elettorale, come tendenzialmente si crede invece dalle nostre parti. In termini di rinnovamento dell’architettura costituzionale, Berlusconi e Alfano non hanno tutti i torti a definire la loro proposta una “grossa novità”. Ma per raggiungere l’obbiettivo hanno bisogno dei “numeri” in Parlamento e leggendo tra le righe il commento del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani (“Se ne può parlare, anche se io mi concentrerei più su quello che si può fare con i tempi che abbiamo e cioè su una modifica della legge elettorale col doppio turno”), appare improbabile che ciò possa avvenire in pochi mesi.
Vista in questo modo, ecco dunque che quello di Alfano non può che essere stato un lapsus: “Come dice il presidente Repubblica, volevo dire il presidente Berlusconi…”.

 

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