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Ma i calciatori non sono dei “disperati”…

di Mirko Spadoni

Premessa: la genesi dello scandalo scommesse secondo l’allenatore del Milan, Massimiliano Allegri, non spicca certo di originalità.
“Chi commette questi reati – spiega il mister rossonero in un’intervista rilasciata a Chi – è malato e vive il gioco come una patologia. E poi c’è la strada di chi purtroppo è costretto a farlo per disperazione” perché “non arriva a fine mese”.
Parole già sentite, pensieri già scritti qua e là. Ma se questa versione viene raccontata da un allenatore di Serie A, diciamocelo, il discorso prende una piega diversa.
Per il momento non ci interessa il discorso del gioco d’azzardo come patologia. Quanto piuttosto quel definire “disperati” quei calciatori o quegli allenatori che, pur militando in serie minori, guadagnano parecchi soldi rispetto ad altre categorie di lavoratori.
Loro, i calciatori, non sono nella condizione di definirsi dei disperati visto il momento storico. Il Paese è in crisi, i dati parlano chiaro.
Certo, nei singoli casi i giocatori potranno anche vivere momenti economicamente poco felici, questo non lo mettiamo in dubbio.
Ma giustificare chi cerca di risolvere le proprie difficoltà scommettendo su incontri di calcio o su quant’altro è un pochino troppo. E ciò vale non solo per chi fa del pallone la propria professione.
Poi parlando del calcioscommesse, Allegri non giustifica “chi ha commesso il reato di frode sportiva” e questo va detto.
Ma anche in quel caso, ciò che più sorprende è come i giocatori coinvolti hanno, secondo i sospetti degli inquirenti, truccato le proprie partite per cifre irrisorie se confrontate ai contratti stipulati con le società di appartenenza.
Allora viene da chiedersi cosa può spingere questi professionisti del calcio a rischiare tanto, addirittura la propria libertà, pur di guadagnare pochi spiccioli al cospetto degli stipendi già percepiti.
Domanda legittima la nostra e che dalle colonne di questo giornale abbiamo già posto a chi è competente in materia.
Roberto Cavaliere, psicologo e psicoterapeuta specializzato proprio in patologie da gioco d’azzardo, intervistato per noi da Gabriele Ziantoni, aveva detto: “Molti dei calciatori coinvolti in questo nuovo caso di calcio scommesse non avevano un gran bisogno di soldi. Parlo ovviamente di Doni, Signori e Sartor che durante la loro carriera avevano accumulato talmente tanti ingaggi da poter vivere di rendita. Questo desiderio spasmodico di combinare è un meccanismo ossessivo e compulsivo del quale, però, non conosciamo le origini. Un trauma che solo un’analisi approfondita potrebbe rivelarci conduce ad uno squilibrio chimico che costringe questi soggetti a ricercare emozioni forti, le uniche in grado di rilasciare grandi quantità di adrenalina. Sostanza capace di modificare in maniera importante il tono dell’umore”.
Insomma, vuoi perché cercano emozioni forti, vuoi perché non arrivano a fine mese, il vizio di manipolare le partite ha colpito ancora certi calciatori.
E così il calcio italiano in modo sistematico e con una costante impressionante (è il quarto caso di calcioscommesse dal 1980) torna a frequentare le aule di tribunale e sempre per lo stesso motivo. La storia si ripete, il disco si è rotto e torna sempre sullo stesso punto.

 

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