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Quali le prospettive del Pd dopo l’Assemblea?

di Antonio Caputo

Nella giornata di sabato si è svolta, sotto la direzione della presidente del partito, Rosy Bindi, l’Assemblea del Partito democratico, alla presenza di 700 delegati; piatto forte dell’appuntamento doveva essere la relazione del segretario, Pier Luigi Bersani, sullo “stato dell’arte”, del partito e del Paese; relazione che ha aperto i lavori, e nella quale Bersani ha affrontato numerosi temi.
Il segretario ha parlato del ritorno in campo di Berlusconi, definito “agghiacciante”, ed aggiungendo, a proposito dei dubbi che il Cavaliere susciterebbe sui mercati, “perché mai, non dico uno speculatore, ma un onesto risparmiatore del mondo, dovrebbe prestarci dei soldi, se in Italia, prendesse voti chi un giorno si e l’altro no dice che bisogna uscire dall’euro, o se prendesse voti chi dice che non dobbiamo pagare i nostri debiti?”, con un attacco su due fronti: al Cavaliere, ma anche a Grillo.
Sulle prospettive della legislatura, il segretario Pd ha ribadito la fedeltà al governo Monti, ma “con la nostra identità, personalità ed un nostro progetto per il futuro dell’Italia”, lasciando intendere che, con le elezioni del prossimo anno, tornerà in campo la politica e che quella tecnica sarà stata una parentesi. L’ex ministro ha anche parlato di legge elettorale, attaccando l’attuale “porcellum”, ritenuta “causa principale del discredito della politica”, e mettendo in campo l’ipotesi di primarie per le candidature.
A proposito di primarie, sul tema si è consumato uno dei due strappi, che hanno reso “piccante” l’Assemblea. L’altro è avvenuto sul tema delle unioni gay, con l’approvazione della proposta di compromesso, che prevede il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto (omosessuali incluse) senza parlare di matrimonio gay, sulla scia di quanto stabilito da due recenti pronunce della Corte Costituzionale, che ha ritenuto inammissibili i ricorsi volti ad estendere l’istituto del matrimonio alle coppie omosessuali.
La componente laicista, guidata da Ignazio Marino (già competitor di Bersani e Franceschini, alle primarie 2009) e da Paola Concia, chiedeva la votazione di un documento alternativo, che proponeva il matrimonio omosessuale (e riguardava anche eutanasia, fecondazione artificiale etc); ma la direzione, sotto la presidenza di Rosy Bindi, ha ritenuto inammissibile porre in votazione tale documento, in contrasto con la relazione appena approvata, ed è scoppiata la bagarre, col segretario Bersani che ha cercato di riportare la calma, mentre contro la Bindi infuriava la gazzarra, con diversi militanti che, delusi, minacciavano l’abbandono del partito. Lo spettacolo inscenato contro la Bindi non è stato edificante, ed ha offerto il destro a Di Pietro e Grillo per rilanciare il tema dei matrimoni gay nella speranza di pescare voti tra i delusi Pd.
Tornando alle primarie, la direzione non si è sbilanciata su una data (le voci parlano di fine novembre ma non è certo), ma Bersani si è impegnato a garantire che si tengano entro tempi a ragionevole distanza dalle elezioni.
Se la dichiarazione di Bersani è bastata al suo principale competitor interno, ossia Matteo Renzi, sindaco di Firenze che scalda i motori, in vista della competizione, lo stesso non lo si può dire dell’altro rottamatore, ed ex compagno di cordata proprio di Renzi, ossia Pippo Civati, il quale ha parlato di populismo da parte di Bersani e di attendismo che fa male al partito, non escludendo a sua volta di candidarsi alle primarie.
La verità è che prima di decidere se e quando fare le primarie, bisogna capire in che condizioni si arriverà alle elezioni e molto dipenderà dalla legge elettorale: con un sistema ad impianto proporzionale, le alleanze si decideranno dopo il voto, in base al peso di ciascun partito; ma se resta una legge ad impianto maggioritario (come l’attuale che prevede il “premio” di maggioranza alla coalizione più votata), le alleanze andranno fatte prima delle elezioni ed il quadro, in tal caso, cambierebbe completamente.
Si tratterebbe, per il partito di Bersani, di decidere “cosa fare da grande”: il tempo stringe. Si tratta, cioè, di scegliere se allearsi al centro, rispondendo alla mano tesa proveniente dall’Udc e nel prosieguo dell’agenda Monti, il che comporterebbe tagliare i ponti a sinistra con Di Pietro e Vendola (e la Cgil) correndo anche il rischio di una scissione dell’ala di Marino, ed evitando proposte come i matrimoni gay, o se tornare, invece, alla “foto di Vasto”, chiudendo al centro, e riproponendo lo schema dell’alleanza a sinistra che si contrappone all’eterno ritorno di Berlusconi.
Solo dopo aver scelto, si potrà parlare di primarie: se il perimetro della coalizione sarà quello di sinistra (aperto a Sel), allora Vendola avrà pieno titolo a partecipare; ma se il Pd svolterà al centro, non si tratterebbe più di primarie di coalizione, ma di partito (stante l’ostilità dell’Udc a tale strumento); a quel punto non avrebbe senso la partecipazione del governatore della Puglia, una candidatura che (come già avvenuto in più occasioni) potrebbe fare la differenza anche sull’esito finale.

 

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