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Usa 2012. Il trionfo di Michelle alla convention democratica

di Antonio Caputo

Primo giorno effettivo dei lavori della Convention democratica a Charlotte (North Carolina), dopo la festa di lunedì. Numerosi gli interventi, soprattutto di veterani di guerra, di sindaci, di governatori, per infiammare la platea, e galvanizzare un elettorato piuttosto stanco, a detta dei sondaggi. 5.556 i delegati presenti, eletti in primarie e caucuses (e dei quali Obama, da presidente in carica, ne ha conquistato la quasi totalità), la metà dei quali donne; il 5% di loro sono studenti, oltre il 25% del totale sono di provenienza afroamericana.
Omaggio dei delegati a Ted Kennedy, fratello di John, e già senatore, scomparso, per un tumore, tre anni fa: le sue immagini, proiettate sul maxi schermo, ricordano il suo intervento alla Convention di quattro anni fa a Denver (Colorado), quando già gravemente malato, fece un discorso di investitura ad Obama, indicandolo come il nuovo protagonista del partito. Peraltro Ted Kennedy aveva sostenuto Obama già durante le primarie, contro Hillary Clinton, parlando di Barack come del nuovo John Kennedy.
Presente anche un altro Kennedy, il nipote di Bob (ministro della Giustizia durante il mandato di John, poi senatore e candidato alle primarie nel 1968, e a sua volta ucciso a Los Angeles, proprio alla fine di quelle primarie; fratello del presidente assassinato e del senatore Ted) che ha parlato di Obama come di un presidente che ha fatto un buon lavoro, e che merita la riconferma alla Casa Bianca.
Standing ovation poi, per il discorso di Julian Castro, ispanico, e sindaco di San Antonio (Texas); Castro, ribattezzato l’Obama ispanico, è un astro nascente nella politica americana e del Partito democratico in particolare.
Il reverendo nero Jesse Jackson, parlando a margine dei lavori, ha ricordato come Obama abbia posto fine ad una guerra, quella in Iraq, voluta da Bush, che ha prosciugato il bilancio federale americano.
Alle critiche di Condoleezza Rice sulla politica estera, replica Madleine Allbright, già segretaria di Stato (ministro degli Esteri) nel secondo mandato di Bill Clinton: i Repubblicani, a detta dell’ex segretaria di Stato, non vivono nel XXI secolo; Obama ha ricevuto apprezzamenti mondiali, avendo svolto un lavoro eccezionale.
Ma, come previsto, star assoluta della giornata è stata la First Lady Michelle, il cui obiettivo, ben preventivato dagli strateghi del partito, era quello di convincere le donne e gli indecisi e riconquistare al presidente l’elettorato moderato ed indipendente, decisivo nel 2008 per la vittoria dell’attuale presidente. Quattro anni alla Casa Bianca hanno eroso la popolarità di Barack (poco sotto il 50%), non quella della First Lady, che si mantiene elevatissima (poco sotto il 70%).
Trionfo di Michelle doveva essere e trionfo di Michelle è stato: la First Lady ha parlato delle origini difficili della due famiglie di provenienza (la sua e quella di Barack), della vita con il marito, che la conquistò 23 anni fa, di come abbia cresciuto con lui le loro figlie, nei difficili sobborghi di Chicago (una delle metropoli più violente d’America, specie nella sua immensa periferia, ed in particolare nei quartieri sud, quelli di provenienza della coppia presidenziale), dove il marito, giovane e brillante avvocato, ma di umili origini, “figlio di una single, e non nato ricco come Mitt Romney”, aiutava i neri più disagiati.
“Esser presidente”, ha detto Michelle, “non cambia chi sei, ma rivela chi sei veramente”; parlando non solo della vita familiare, ma anche accennando alle difficoltà della crisi, la First Lady ha proseguito “per ricostruire l’economia, Barack si ispira alle nostre famiglie di origine che non avevano molto”. Particolarmente rivolto all’elettorato femminile è stato il passaggio del suo discorso, in cui ha dichiarato: “Il mio titolo più importante è quello di mamma in capo” (il presidente degli Stati Uniti è comandante in capo delle forze armate; un titolo fondamentale da spendere in campagna elettorale, quando si vota in un periodo di guerra: nel 2004, Bush, anch’egli con una popolarità non elevatissima, vinse anche perché si presento come comandante in capo, che non può essere sostituito durante una guerra), o ancora il passaggio in cui ha ricordato che “Barack crede che le donne siano in grado di decidere per la loro salute”, un accenno al delicato tema dell’aborto, divisivo in un Paese come l’America, dove l’elettorato è spaccato sul tema esattamente a metà.
Torniamo a Michelle Obama: parlando del marito, come dell’uomo che ha ancora le carte in regola per guidare il Paese per altri quattro anni, che sa che cos’è il sogno americano, perché lo ha vissuto, ha concluso: “Per un mondo migliore, per i nostri figli, dobbiamo essere uniti per un uomo in cui crediamo, mio marito Barack Obama”.

 

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