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Quell’occhio di Google che veglia su di noi

di Astrid N. Maragò

L’occhio vigile del Grande Fratello Google veglia costantemente su di noi. Subdolo, silenzioso, tanto da passare inosservato. Così i gesti più comuni della nostra vita quotidiana vengono catturati per le strade delle nostre città e fermati inconsapevolmente dalle Dodeca 2360 montate sul tetto delle Google Cars.
Non è infatti poi così difficile, navigando con Street View, imbattersi in ogni tipo di situazioni più o meno ordinarie: dal postino immortalato durante una caduta dalla bicicletta, a una rissa tra giovani, un cane intento a marcare il territorio indisturbato, il vigile che lascia la multa, o personaggi insospettabili sorpresi nell’atto di compiere gesti scurrili.
Il fenomeno non è sfuggito agli artisti dell’immagine, tanto che il fotografo tedesco Michael Wolf in occasione dell’annuale World Press Photo Contest ha conquistato addirittura una Menzione Speciale nella categoria Contemporary Issues, per la sua raccolta intitolata A series of unfortunate events. La rassegna di immagini raccoglie una serie di screenshots provenienti dal software di Google che ritraggono scene casualmente riprese dalle fotocamere del programma. La notizia della sua premiazione non ha però mancato di suscitare critiche tra coloro che ritengono il suo lavoro non corrispondente ai classici canoni del fotogiornalismo. Ma è proprio la realtà, ormai interamente digitalizzata grazie agli strumenti di Google, ad essere rappresentata senza filtro da queste immagini. C’è sempre una prima volta, e la giuria del World Press Photo ha dimostrato di voler accogliere questa nuova visione della fotografia, virtualmente intesa, guardando così verso il futuro.
Ma prescindendo dai risvolti artistici e dall’utilità pratica degli strumenti di Google Maps, c’è da considerare che gli attimi fermati da Street View pongono un concreto problema relativo alla privacy di coloro che appaiono negli scatti. L’alta definizione delle immagini renderebbe infatti  riconoscibili i volti delle persone fotografate e le targhe delle automobili riprese. Da molte parti è giunta rapidamente una richiesta di censura, che al momento ha trovato soluzione mediante l’introduzione di un apposito algoritmo che autonomamente individua targhe e volti e li oscura graficamente. Ma può essere considerato sufficiente questo espediente a garantire la tutela della vita privata di ognuno di noi?
Basti pensare che a Groeningen nel 2008 – per citare un caso – due giovani rapinatori sono stati individuati e poi arrestati a mesi di distanza dal reato commesso proprio grazie alle foto impresse nella memoria virtuale di Google. Senza neanche enumerare i casi in cui il programma è stato utilizzato dalle autorità come utile alleato nelle indagini investigative anche per casi di omicidio, come è accaduto a Melbourne nel 2007.
Insomma, come sempre, il problema sta nell’individuare il giusto mezzo. Come si dice, quattro occhi sono meglio di due, però forse quelli di Google sono troppi.

 

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