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“Vita di Pi”: oltre l’apparenza c’è di più

di Martina Marotta

Un ragazzo indiano che ha il nome di una piscina francese, una tigre bengalese adulta che si chiama Richard Parker, una sola scialuppa di salvataggio. Mettete questi elementi insieme e spingeteli in un punto non ben precisato dell’Oceano Pacifico per 227 giorni e godetevi lo spettacolo, preferibilmente in 3D.
Storia intrigante, per non parlare dei meravigliosi effetti speciali di cui la pellicola si compone.
Il 20 dicembre è uscito infatti nelle sale italiane il nuovo film di Ang Lee (già regista de La tigre e il dragone e I segreti di Brokeback Mountain) Vita di Pi tratto dall’omonimo libro di Yann Martel.
Questa la trama: Piscine Molitor Patel è un ragazzo indiano la cui famiglia possiede un ricco zoo a Pondicherry, la parte francese dell’India. I genitori crescono lui e il fratello come atei, ma Piscine, che si fa chiamare Pi, fin da bambino rimane affascinato dal culto indù, cattolico e islamico, avvicinandosi molto alla religione in generale e professandola secondo i suoi diversi stili. Alcuni anni dopo i genitori del ragazzo decidono di trasferirsi in Canada, dove il loro zoo sarebbe stato valutato maggiormente e avrebbero potuto permettersi un futuro agiato: tuttavia, dopo quattro giorni di navigazione nell’Oceano Pacifico, la nave su cui la famiglia e gli animali dello zoo viaggiavano affonda in seguito ad un tremendo nubifragio e solo Pi riuscirà a salvarsi. Il ragazzo scoprirà di non essere solo e a fargli compagnia ci saranno una zebra ferita, un gorilla, una iena e un tigre. Ma le cose non vanno per il verso giusto, e ben presto Pi si ritroverà solo con la tigre: inizia quindi un lungo e faticoso viaggio nella speranza di sopravvivere a tutti i problemi che un naufrago deve affrontare, primi fra tutti la fame e la sete.
E proprio quando lo spettatore (che non ha letto il libro) si adagia sulla poltrona del cinema, gustandosi l’incredibile 3D e pensando ormai di conoscere il prevedibile finale di un film fantastico ecco che –zac!- in dieci minuti il finale cambia tutto, inonda e stravolge ciò che si è visto fino a un momento prima. E in un film come questo non si tratta solo di un finale a sorpresa, di quelli che fanno strabuzzare gli occhi e producono esclamazioni di stupore: tutto cambia, persino il più piccolo dettaglio. E se all’inizio si aveva la certezza di guardare un film su un naufragio arricchito di elementi fantasy, alla fine tutto torna, e la pellicola acquista un unico, allegorico senso: la speranza nella fede. Ed è grazie a questo elemento che Pi riesce a sopravvivere al suo lato selvaggio acquisito durante i giorni da naufrago e a controllarlo.
Tutta la storia è narrata sotto forma di flashback dallo stesso Pi, ormai cittadino in Canada, che racconta le sue avventure a uno scrittore canadese, Yann Martel, per l’appunto.
Ed è a quest’ultimo che Pi rivolge una domanda, pregna di significato, dopo aver raccontato un’altra, più cruda e diversa versione della sua avventura:

“Posso farle una domanda?”
“Certo”.
“Le ho raccontato due storie su quanto è accaduto in quell’oceano: nessuna delle due spiega il motivo per cui affondò la nave, e nessuna può dimostrare quale storia sia vera e quale no. In entrambe le storie, la nave è affondata, la mia famiglia è morta e io ho sofferto”.
“Vero”.
“Allora quale storia preferisce?”
“Quella con la tigre. E’ una storia migliore”

In conclusione, c’è da dire che ultimamente, di film sostanziosi e spettacolari non se ne vedevamo praticamente più. Alcuni critici hanno anche paragonato Vita di Pi ad Avatar: ma se Avatar era poca sostanza (basti pensare ad una storia che di originale ha poco e nulla) e molto 3D, Vita di Pi è un film che sbalordisce e fa pensare, specialmente in un periodo che ha fatto perdere la fede e la speranza a molti di noi.

 

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