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La pressione fiscale in Italia è pari al 55%

La denuncia, mossa solo qualche settimana fa dall’Ufficio studi di Confcommercio, è di quelle che fanno riflettere: nel 2012, sosteneva lo studio, la pressione fiscale effettiva in Italia è pari al 55%. Un dato, quest’ultimo, che “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto”. La pressione fiscale italiana, spiegava Confcommercio, supera di gran lunga quella di altri Paesi come la Danimarca, dove è al 48,6%, la Francia (48,2%) e Svezia (48%).
“Sotto il profilo aritmetico – si legge nel rapporto – il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali”.
Insomma, in Italia la pressione fiscale è la più elevata al mondo. Eppure c’è chi non è d’accordo con questa tesi e sostiene il contrario. Di chi parliamo? Dell’Istituto di ricerca Eurispes, ad esempio. Il problema è “nella gestione della spesa pubblica e l’organizzazione dei servizi pubblici”, in quanto “non vi è coerenza tra la quantità delle risorse prelevate e la qualità dei servizi resi al cittadino”, sostiene l’Eurispes, che nel suo Rapporto Italia 2013 spiega che se confrontati con i sistemi fiscali di altri Paesi dell’area Ocse, le maggiori differenze, “gli scostamenti più significativi” si riscontrano sulle “aliquote medie”, ovvero quelle che “colpiscono i redditi che ammontano a circa 20.000 euro”. Nel resto dei casi, come gli scaglioni di reddito più alti, “non vi sono particolari differenze”.
In Germania, ad esempio, “l’applicazione di un’imposta progressiva lineare per lo scaglione di reddito che va dagli 8.000 ai 52.000 euro rende l’imposizione, man mano che aumentano i redditi, sempre più vicina a quella italiana. Per esempio, per un reddito che ammonta a 45.000 euro, l’imposizione media italiana ammonta al 29,8% mentre quella tedesca intorno al 30,4%”. Se passiamo poi a confrontare le aliquote dei Paesi del Nord con quelle del Sud Europa, emerge che i primi presentano “livelli di tassazione molto più alti” rispetto ai secondi. In Finlandia l’aliquota è pari al 25%, quella massima è al 53%. In Danimarca è pari invece al 37% e al 59%, in Svezia (29% e 59%) e Norvegia (28% e 48%). Troviamo una situazione decisamente diversa nei Paesi del Sud: in Italia vi è un aliquota minima al 23% e una massima al 43%, in Spagna (24% e 45%), Portogallo (11,5% e 46,5%) e Grecia (12% da 0 a 12mila euro e 46,5%). Ma a questa differenza, dovuta a delle “precise scelte politiche, dirette a fornire ai cittadini quei servizi indispensabili per poter liberare le risorse umane che negli Stati dell’area mediterranea sono impiegate nei “costi occulti”, definiti impropriamente ammortizzatori sociali, corrispondono anche “organizzazioni dei sistemi di welfare più capillari”. Infine, passiamo ad analizzare la tassazione societaria, che presenta percentuali diverse nei vari Paesi dell’Unione europea. Tutto questo perché, spiega sempre l’Eurispes, “con la nascita dell’Ue e la libera circolazione dei capitali” si è cercato e si cerca di “attrarre le imprese interessate a compiere investimenti sul territorio”. L’Irlanda, ad esempio, ha una tassazione societaria che ammonta al 12,5%. La Svizzera presenta aliquote che variano da cantone a cantone e, rispetto a quelle dichiarate ufficialmente, che vanno dal 13% al 23%, “è ormai assodata l’adozione di un’aliquota effettiva del 7,8%”, che rappresenta una vera e propria attrazione per molte aziende del Belpaese. Nei Paesi dell’Europa orientale, la situazione non è poi così diversa. Anche qui, Stati come Romania e Ungheria “affiancano, ai vantaggi di natura fiscale, monete deboli molto attrattive”. Mentre per quanto riguarda i Paesi europei dell’area Ocse, la situazione è “omogenea”, con aliquote intorno al 25% e al 30%. In Italia e in Francia, ad esempio, le aliquote base si attestano al 33%, tuttavia una serie di tasse accessorie (l’Irap in Italia, e le numerose imposte francesi come l’imposta di solidarietà sociale) “modificano in maniera concreta l’incidenza della fiscalità sul reddito di impresa”.
In Germania, invece, “pesa la determinazione del risultato finale d’esercizio, l’imposizione della Business Tax”, che va aggiunta all’aliquota base del 15,8%. In Inghilterra è possibile, attraverso il regime delle Allowance, detrarre gli investimenti in ricerca e in tecnologia attuati dalle imprese.

 

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