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Quei 14 euro in più in busta paga

crisi_economica_ripresaPer far ripartire i consumi e accrescere la domanda interna sarebbero serviti duecento, trecento euro in più in busta. Gli italiani non riescono, da molto tempo ormai, a far fronte ad una spesa improvvisa. L’alleggerimento sul costo del lavoro – per cui Confindustria e parti sociali sono sul piede di guerra – è stata poca cosa rispetto agli annunci in pompa magna da parte degli esponenti dell’esecutivo Letta. A conti fatti – quelli della Cgia di Mestre (confermati grosso modo anche dal governo) – gli aumenti in busta paga variano da un minimo di tre euro ad un massimo di 14. Una pizza o un paio di caffè in più al mese, per intenderci.
Il crollo del potere d’acquisto provoca inevitabilmente una contrazione dei consumi, quantificabile in -2,4% in termini tendenziali ad agosto con variazione nulla rispetto a luglio. Di certo non è un caso il clima di sfiducia registrato un po’ ovunque. Secondo l’ultimo Outlook Italia elaborato da Censis e Confcommercio risultano più di 17 milioni (vale a dire il 69% del totale) le famiglie che ritengono le proprie capacità di spesa peggiorate rispetto alla fine del 2012. Quelle invece che non riescono a sostenere le uscite con il proprio reddito sono aumentate al 19%, quando l’anno scorso erano all’11,3%. Quasi il 50% di esse, inoltre, prevede di tagliare ulteriormente i consumi per affrontare la crisi. Non solo. Una famiglia su quattro nel secondo semestre del 2013 ha avuto difficoltà a pagare tasse e tributi (nel frattempo destinate ad aumentare nel 2014 rispetto al 2013) e oltre il 72% ad affrontare spese impreviste. Per coprire le spese sono quasi raddoppiate le famiglie che si sono rivolte alle banche per un prestito mentre oltre il 30% ha dovuto posticipare alcuni pagamenti.
La manovra sul cuneo fiscale, in definitiva, impiega solo 1,5 miliardi per aumentare nel 2014 le detrazioni Irpef a favore di 15,9 milioni di lavoratori dipendenti con redditi fino a 55 mila euro lordi annui. Sono cifre più basse di quelle auspicate alla vigilia, che viaggiavano attorno ai 2,5 miliardi di euro. Una somma che era stata ritenuta in ogni caso insufficiente. Ora la situazione è anche peggio.
La simulazione della Cgia di Mestre non lascia spazio all’immaginazione. “Con un reddito imponibile Irpef annuo di 15.000 euro, pari ad uno stipendio mensile netto di 971 euro, il vantaggio – si spiega – sarebbe di 172 euro all’anno, che si tradurrebbe in 14 euro mensili in più in busta paga; per un dipendente con un reddito annuo di 20.000 euro, equivalente a uno stipendio mensile netto di 1.233 euro, il vantaggio fiscale annuo sarebbe di 151 euro (13 euro al mese)”.
Per i redditi più elevati, infine, cioè quelli che arrivano alla soglia limite dei 55.000 euro, i vantaggi fiscali si dovrebbero progressivamente ridurre fino ad arrivare a importi mensili pressoché inconsistenti.

 

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