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Su Alitalia una strategia sbagliata

Intervista a Matteo Giuliano Caroli, professore di Economia e gestione delle imprese all'università LUISS Guido Carli
di Giampiero Francesca

alitaliaRidurre la questione Alitalia a sole problematiche finanziarie è un’operazione non solo riduttiva, ma anche fuorviante. Se, infatti, a soli quattro anni di distanza, il quadro della compagnia di bandiera italiana torna ad esser drammaticamente in rosso molto è dovuto alla mancata o errata strategia d’impresa messa in atto dalle varie gestioni che si sono susseguite. Per addentrarci nel ginepraio dell’impresa Alitalia ci siamo dunque confrontati con il prof. Matteo Giuliano Caroli, docente di economia e gestione delle imprese presso la LUISS Guido Carli. Per scendere più a fondo nella conoscenza della struttura, nei meccanismi e nelle scelte del nostro vettore non si può non partire dalla decisione, netta, di puntare sulle tratte a corto raggio, investendo, in primo luogo, su velivoli piccoli. E’ lo stesso professor Caroli a sottolineare la rilevanza di questa scelta, evidenziando, come uno dei più sostanziali problemi strutturali quello di “aver investito troppo poco rispetto alle necessità di un rilancio strutturale della presenza di Alitalia sulle rotte intercontinentali”. La decisione di puntare in modo così definito sulle brevi distanze, in particolare sulla tratta Roma/Milano, significava infatti doversi confrontare con la concorrenza, combinata e implacabile, delle compagnie aeree low-cost e delle ferrovie. “È noto che oggi e in futuro, nel trasporto aereo le compagnie non low cost devono anzitutto presidiare le rotte intercontinentali”, ammette lapidario Caroli, che, con altrettanta fermezza, rileva come l’impossibile competizione con il trasporto ferroviario sia “un dato di fatto, dovuto al dinamismo con cui si sono mossi gli operatori di servizi di traporto ferroviario passeggeri”. Le scelte strategico-commerciali di Alitalia non sembrano rispecchiare dunque una politica efficace piuttosto appaiono legate a problematiche di carattere nazionale, se non addirittura regionale. E’ questo, ad esempio, il caso della delicata questione relativa agli hub italiani. Con il termine hub si intende un modello di sviluppo della rete delle compagnie aeree costituito da uno scalo dove si concentrano la maggior parte dei voli. Nel quadro complessivo di Alitalia gli hub italiani avrebbero dovuto essere due, Roma Fiumicino e Milano Malpensa, ipotesi questa che il prof. Caroli bolla come impossibile in quanto “l’Italia non ha la dimensione economica e geografica per giustificare due hub”. Una prospettiva bocciata anche da AirFrance, sin dai tempi del primo interessamento per la nostra compagnia di bandiera, e oggi “comunque superata perché già da qualche anno ci si è resi conto che l’unico, eventuale, hub è Fiumicino”.
Il problema, sempre usando le parole del prof. Caroli “è che dietro la questione Malpensa abbiamo investito inutilmente risorse e tempo”. Ma le problematiche relative al nostro vettore non si esauriscono nelle scelte strategiche errate o nella debolezza nei confronti di forze interne o locali. Fra gli altri punti deboli di Alitalia il prof. Caroli evidenzia “una dimensione troppo piccola e di conseguenza livello di scala inadeguato, una posizione svantaggiata verso i grandi fornitori e uno scarso dinamismo aziendale dovuto a decenni di protezione sindacale e politica”. Nelle parole del prof. Caroli è facile evidenziare alcune problematiche comuni a tutto il nostro sistema industriale. La dimensione delle nostre imprese, sempre troppo esigua rispetto al mercato internazionale, la condizione di arretratezza infrastrutturale e una sostanziale stagnazione politico-sociale pesano su gran parte delle nostre aziende. Il punto di ripartenza deve essere dunque “una strategia che metta l’aeroporto e non Alitalia al centro della strategia di trasporti aerei italiani” unita ad una logica di rete, di network imprescindibile per poter competere. Alla domanda diretta sulla possibilità di sopravvivere in questo mercato senza collaborare (o far parte) di gruppi più grandi, la risposta del prof. Caroli è infatti laconica: “Naturalmente no”.

 

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