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Quanto è diverso il Paese dopo il Referendum

I sì stravincono e si apre il dibattito sulle dimissioni di Berlusconi. Cosa cambierà davvero il risultato del voto?

Non doveva più essere un voto politico, o almeno così si era detto negli ultimi giorni di campagna referendaria. Eppure a Pier Luigi Bersani è scappato da ridere, maramaldeggiando in quello che è già l’ennesimo processo a Berlusconi. È stato il segretario del Pd, infatti, a suggerire in conferenza stampa lo slogan di giornata: “È stato un referendum sul divorzio: il divorzio tra il paese e il governo”. Il raggiungimento del quorum (era dal 1995 che non accadeva) e il plebiscito per i quattro sì assumono un profondo significato, per quanto le ripercussioni sulla maggioranza non saranno necessariamente immediate. In conferenza stampa Bersani ha inoltre delineato le future mosse del Pd sui temi proposti dai referendari (un programma sulle politiche energetiche che faccia a meno del nucleare e una proposta di gestione dell’acqua che non preveda la privatizzazione forzata bensì altre forme di investimento) facendo il paio con quanto sostenuto poco prima dal “vincitore” Antonio Di Pietro. Il leader dell’Idv ha ringraziato i cittadini per la partecipazione al voto, un voto trasversale che ha coinvolto tanto gli elettori del centrodestra quanto quelli del centrosinistra. Ma Di Pietro, a scanso di equivoci, ha messo pure le cose in chiaro: “Sta a noi, adesso, lavorare per una valida alternativa di governo”.
Ma perché Berlusconi e Bossi escono sconfitti dal referendum? Semplice, rispondono gli analisti e i commentatori. Il raggiungimento del quorum è l’esempio lampante di come il consiglio reiterato dei due leader di non recarsi alle urne sia stato disatteso dagli stessi elettori del centrodestra prestando così il fianco ai sostenitori della spallata che ora, se non altro, può dirsi simbolicamente avvenuta. Tra gli esponenti della maggioranza e dell’esecutivo si sono rincorse dichiarazioni per tutto l’arco della giornata. A partire dal premier che, con il quorum che si stava delineando (a proposito, non a tutti sono piaciute le dichiarazioni di Maroni al riguardo), preannunciava l’addio all’atomo e una nuova fase per le fonti di energia alternativa (circostanza caldeggiata dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo), mentre Daniela Santanchè si destreggiava in un’acrobatica piroetta affermando che con la vittoria del sì sul nucleare il Paese si sarebbe mostrato in linea con il governo che di fatto aveva già abrogato le norme sulla costruzione di nuovi impianti. E infine c’è il Terzo Polo, i cui stati generali si sono detti “determinanti” per il risultato del referendum “con la decisione di invitare tutti al voto al di là delle scelte di merito che consapevolmente rivendichiamo”. Fini, Casini e Rutelli hanno perciò esortato il presidente del Consiglio a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di un passo indietro: “Il SI ai referendum è un NO grande come una casa a questo governo. È tempo che Berlusconi ne prenda atto. Minimizzare, come ha fatto dopo le amministrative, sarebbe irresponsabile e dannoso per gli interessi nazionali”.

 

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