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La Consulta boccia la Fini-Giovanardi

maria“La legge Fini-Giovanardi è una legge sbagliata, feroce e inefficace”, scriveva poco tempo fa su Twitter il leader di Sel, Nichi Vendola. Un tweet secco ma non isolato, tanto che trovò eco in quello che poi diventò un vero e proprio dibattito in Parlamento. Un dibattito che puntava il dito contro l’inefficacia di un proibizionismo che, finora, aveva solo portato ad una carcerazione di massa ma che, come sostiene Nichi Vendola, non era altro che “una manna dal cielo per i narcotrafficanti”. Ora a puntare il dito è però la Corte Costituzionale che ha giudicato illegittima la legge n. 49 del 21 febbraio 2006, appunto la legge Fini-Giovanardi.
Facciamo un passo indietro: “La storia recente della legislazione italiana in merito alle droghe leggere – ricordava Giampiero Francesca – ha inizio con il testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza contenuto nella legge n. 309 del 9 ottobre 1990. In particolare, l’art. 75 del testo, prevedeva, per l’uso personale, solamente alcune sanzioni amministrative, come la sospensione del passaporto, della patente di guida (o il divieto di conseguirla) o del porto d’armi per una durata che poteva oscillare da uno a tre mesi. Era compito del giudice stabilire, per ogni singolo caso, se la quantità di droga posseduta dall’imputato fosse riconducibile ad un uso personale o allo spaccio (punibile invece con sanzione penale). Era infatti la quantità, secondo il comma 1-bis lettera ‘A’, la vera discriminante, che ‘se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga’, appariva ‘destinata ad un uso non esclusivamente personale’. Il primo intervento in materia, di carattere antiproibizionista, avvenne il 18 aprile 1993, con la vittoria del ‘si’ al referendum abrogativo proposto dai radicali. Con il 55,4% di voti a favore (e il quorum abbondantemente raggiunto) veniva abrogata parte della legge rendendo la posizione dei consumatori ancor più leggera. Troppo leggera per l’onorevole Carlo Giovanardi, da sempre strenuo difensore delle posizioni proibizioniste e fautore di numerose campagne contro la droga. Non stupisce dunque che il successivo intervento in materia, quello posto oggi nell’occhio del ciclone, porti anche la sua firma. La legge n. 49 del 21 febbraio 2006, conosciuta appunto come Fini-Giovanardi, equiparava tutte le droghe e reintroduceva il concetto quantitativo come unico parametro per distinguere il consumo personale dallo spaccio. Le pene per il possesso della cannabis, ora praticamente equivalente alla cocaina o all’eroina, aumentavano così da 1 a 6 anni, per fatti di lieve entità, e da 6 a 20 anni per le circostanze più gravi”.
“La Corte costituzionale, nella odierna Camera di consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge – degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, come convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti)”, così la nota diffusa mercoledì dalla Consulta, che giudica quindi illegittima la legge Fini-Giovanardi (inserita come emendamento nella legge sulle Olimpiadi invernali di Torino) perché contenente emendamenti estranei all’oggetto e ai fini del decreto di partenza.
Una decisione che avrà ovviamente ripercussioni sulla popolazione carceraria. Secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al dicembre 2013 erano 24.273 i detenuti in Italia per reati legati alla droga. Di questi il 40% sarebbero detenuti per reati legati alle droghe leggere. Si stima infatti che i beneficiari della sentenza possano essere diecimila tra detenuti in attesa di giudizio e condannati. Non solo, con la decisione saranno “alleggeriti” anche i metodi investigativi.

 

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