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Se il cambiamento dipende dalla liberazione dei dati

di Andrea Ferraretto

Open DataC’è un nesso tra la necessità di costruire un futuro fatto di innovazione e l’esigenza di portare maggiore efficienza nella gestione delle politiche pubbliche: un nesso fatto dell’accesso e disponibilità di informazioni, di una migliore capacità della Pubblica amministrazione di interagire con i cittadini, le imprese e il territorio.
Le innovazioni tecnologiche permettono di produrre un notevole avvicinamento e rapporto diretto tra chi amministra e chi utilizza i servizi erogati dalle amministrazioni, riducendo la distanza, che spesso, viceversa, si trasforma in un muro, invalicabile, attraverso il quale non si riceve né risposta né efficienza.
Open data, open gov e urban data, non sono soltanto materia adatta ad hacker e utenti smanettoni, sono, realmente, la base sulla quale costruire il cambiamento e la trasformazione del sistema di servizi pubblici che, ogni giorno, rappresenta l’opportunità per portare innovazione proprio là dove serve di più.
Serve nei trasporti e nella mobilità, nella gestione del ciclo dei rifiuti, nella cura e manutenzione del territorio, nella tutela e promozione dei beni culturali, ma serve, soprattutto, nel ricostruire un rapporto di fiducia e di responsabilità condivisa tra cittadini e amministrazioni pubbliche. Può essere utile, per comprendere meglio, vedere un portale open data e immaginare la mole di informazioni che possono essere “liberate” e messe a disposizione.
Il 22 febbraio, un sabato del 2014, mentre avveniva il giuramento del Governo Renzi, in tutta Italia si è svolto l’Open Data day un’iniziativa dal basso, capace di mobilitare l’attenzione di migliaia di persone, con l’interesse di agire per far sì che dati e trasparenza divengano un punto di forza per affermare una svolta nell’accesso e nell’utilizzo delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni. Un’opportunità per generare strumenti innovativi, le app che consentono di usare le tecnologie in modo interattivo, per trovare un parcheggio o pagare un’utenza, oppure per sapere e per individuare nuove occasioni per sviluppare un’idea di impresa, per mettere in luce una domanda e un potenziale di offerta.
Perché, se da un lato si parla molto di smart cities, dall’altro si tarda a comprenderne la forza di cambiamento e la necessità di far uscire le modalità di governo locale da un alveo tuttora dominato dalla burocrazia e dalla difficoltà di accesso alle informazioni. Serve innovare in modo intelligente, sfruttando le occasioni che sono rappresentate dalla rivoluzione digitale, dedicando maggiore attenzione a come ripensare le politiche di produzione e di offerta di servizi sul territorio, agendo sulle leve delle efficienza e dell’efficacia in termini di valore aggiunto che può essere attribuito a ogni euro di spesa pubblica.
La competizione, a livello mondiale, per guadagnare un livello più alto nella classifica della forza attrattiva e di sviluppo, si gioca proprio su questi aspetti e, un fattore determinante, è rappresentato proprio dalla capacità di programmare le politiche sulla base dei dati e di come, in questo modo, garantire una maggiore partecipazione e condivisione da parte dei cittadini e degli altri stakeholder.
Ecco quindi che l’apertura ai dati significa anche un cambiamento delle “regole di ingaggio” della PA, che deve essere in grado di rispondere e interagire, favorendo partecipazione e scambio, allo scopo di realizzare un aumento dei risultati in termini di raggiungimento degli obiettivi prefissati. In questo caso la parola magica è “accountability” perché trasparenza ed efficienza possano diventare, realmente, un elemento che innova e qualifica l’azione svolta. L’esempio di un tentativo riuscito può essere il portale Ritardi.0, realizzato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, nell’ambito dell’attuazione del Programma operativo nazionale Ricerca Competitività 2007-2013, uno dei programmi finanziati dall’Unione Europea.
È un bell’esempio di come si possa realizzare un cambiamento, positivo, aumentando il livello di partecipazione e, al tempo stesso, di utilizzo degli strumenti digitali per favorire una maggiore trasparenza. Si tratta di uno dei pochi casi nei quali una pubblica amministrazione interagisce con gli utenti attraverso i social network, innescando una condivisione che è l’essenza stessa di un programma dedicato a promuovere l’innovazione e la creazione di imprese legate alle nuove tecnologie.
Diventa, in tal modo, essenziale innescare un processo di social innovation, capace di creare nuove forme di interlocuzione e di capacità di risposta dove l’uso delle tecnologie non dovrebbe essere visto come un rischio o una perdita di tempo, quanto, piuttosto, l’opportunità per inserire, dal di dentro, quei criteri di accessibilità e di trasparenza che sono alla base del processo di riorganizzazione del settore pubblico.
Può servire, a questo punto, provare a comprendere quanto il cambiamento in atto non sia un fatto episodico ma una reale trasformazione, di fronte alla quale le resistenze possono ben poco quanto, piuttosto, sia necessario agire affinché le innovazioni siano in grado di generare gli effetti positivi per rispondere alla crisi del modello economico e sociale e offrire un’opportunità per rilanciare e ricostruire un patrimonio collettivo.
Un libro, uscito da pochi giorni, descrive, con precisione scientifica, come sono state progettate le campagne elettorali del 2008 e del 2012 che hanno consentito la vittoria di Barak Obama – La lezione di Obama – un lavoro davvero interessante, quello di Lucchini e Matarazzo, perché mette in evidenza il ruolo giocato dai social media, in termini di approccio verso l’elettorato e di come queste campagne debbano essere considerate un fatto epocale, per aver introdotto i concetti di smart-politics e di utilizzo dei profili degli elettori come chiave vincente per far sì che andassero a votare per Obama.
La profilazione, una tecnica che parte dalla raccolta e dall’analisi dei dati dei singoli elettori, ha permesso di raggiungere le singole istanze e superare le distanze rappresentate da un elettorato eterogeneo e frammentato in migliaia di classi ed esigenze.
Non è troppo distante l’esempio della “bestia” la macchina elettorale messa in piedi per realizzare il microtargeting e raggiungere i singoli elettori con una capacità, davvero, bestiale: per farlo, però, occorre essere in grado di comprendere quanto contino le competenze e le professionalità, anche solo per decidere qual è l’hastag più adatto e come “lavorare” attraverso blog e social network.
La distanza, in questo momento, è data dal percezione del cambiamento e di quanto questo possa essere frenato e rallentato ma, questa è l’impressione, in un mondo sempre più digitalizzato, dove leggere un quotidiano sul tablet o salire su un aereo con la boarding pass sullo smartphone sta diventando una cosa normale, tanto quanto pretendere che il servizio di trasporto pubblico sia efficiente e puntuale.
Insomma, ne vedremo delle belle.

 

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