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Un “quantitative easing” europeo?

di Fabio Germani

bceQuando il consiglio direttivo della Bce annuncia che potrebbe ricorrere a misure non convenzionali per contrastare il rischio deflazione nell’eurozona (i livelli strutturali di inflazione devono essere prossimi al 2%), in molti pensano soprattutto al quantitative easing. Di un intervento mirato se ne parla da inizio mese, ma la conferma è giunta il 10 aprile con la diffusione del bollettino mensile. In verità cosa intenda l’istituto di Francoforte con “misure non convezionali” non è dato sapere, ma il confronto con la Fed statunitense viene quasi spontaneo.
Alle politiche rigoriste di Bruxelles, la Bce ha talvolta risposto con provvedimenti diametralmente opposti, di tipo espansivo, iniettando liquidità a lungo termine (LTRO). Operazioni di rifinanziamento che però non hanno portato a risultati particolarmente soddisfacenti, un po’ anche a causa degli ampi margini di manovra consentiti alle banche in questi casi. Problema che, almeno in parte, potrebbe ripetersi con il quantitative easing.

Quantitative easing
Attraverso il quantitative easing viene “creata moneta” dalle banche centrali con lo scopo di acquistare titoli di stato e la pratica viene avallata quando i tassi di interesse sono vicini allo zero. Si tratta di una strategia finalizzata a stimolare l’economia e i tempi in Europa potrebbero considerarsi maturi in questo senso (i tassi sulle operazioni di rifinanziamento sono allo 0,25%). Ma come fa notare Lavoce.info, autorevole sito di informazione economico-finanziaria, la strada potrebbe rivelarsi difficilmente percorribile fino al pronunciamento della Corte di giustizia europea sugli interventi della Bce sul mercato dei titoli di stato, il piano OMT lanciato nell’estate del 2012 (vale a dire l’acquisto, da parte di Francoforte, dei titoli di Stato di Paesi in difficoltà per via degli alti rendimenti dopo specifica richiesta e l’adozione di un impegno formale di natura politico-economica) che secondo la Corte costituzionale tedesca violerebbe il mandato della stessa Banca centrale europea.

L’esempio della Fed
Recentemente, intervistato dalla Cnn, il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha affermato che “il quantitative easing sarebbe appropriato per l’eurozona”. C’è tuttavia qualche differenza con quanto avviene negli Stati Uniti.
In America l’acquisto di titoli finanziari ha un impatto diretto sull’economia reale, in particolare su imprese e occupazione. Poiché l’economia e il mercato del lavoro statunitense “non sono ancora tornati alla normalità” la Fed ha garantito in questi giorni il proprio sostegno, ritenuto “ancora necessario”. La rassicurazione della presidente Janet Yellen arriva in ogni caso a seguito di un cambiamento della guidance stabilita nel 2012. Quella della Fed è una strategia di tipo “qualitativo” (possibile in un’economia da considerarsi comunque in ripresa). La soglia del 6,5% del tasso di disoccupazione, che a suo tempo la Fed considerò opportuna per iniziare a valutare una manovra sui tassi, è stata accantonata e il lavoro – che pure oltreoceano desta ancora preoccupazione – da adesso non sarà l’unico parametro per valutare la mole di interventi.
Una cosa è però certa nel messaggio della Bce e nell’esempio della Fed, e sembra valere oggi in Europa persino tra gli scettici e tra i fautori del rigorismo a oltranza. Per sostenere l’occupazione e la domanda interna, in una parola la ripresa, occorre mantenere una politica monetaria espansiva.

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