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Un turismo da grandi eventi

di Fabio Germani

pompeiCerto che in una fase “decadente” della nostra cultura, le notizie di Pasqua giungono come una manna dal cielo. L’Italia perde attrattività turistica rispetto ai partner europei, in particolare Spagna e Francia. Berlino può contare su un maggior numero di turisti all’anno di Roma e il il Louvre, da solo, incassa più dei musei statali italiani messi insieme. Poi arriva Pasqua e il turismo si autorilancia. Soprattutto a Pompei – altra curiosità del momento dopo i crolli e l’immagine negativa riflessa – dove si sono registrati oltre 15.696 turisti nel giorno di Pasquetta, cioè il 31% in più rispetto ai 12 mila dell’anno scorso. Non si può biasimare il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, se festante twitta che si #cambiaverso. Magari è ancora presto per dirlo, ma la sua gioia è comprensibile. Anche perché il dato positivo non riguarda la sola Pompei, ma l’intera area adiacente a Napoli, tra passeggiate sotto il sole e musei e mostre.
Nonostante previsioni inizialmente negative (secondo un’indagine del centro studi Fipe-Confcommercio i ristoratori italiani non confidavano granché su Pasqua e Pasquetta per contare su una ripresa delle presenze nei propri esercizi), il “boom turistico” è stato realtà anche a Roma. Nella città eterna erano attesi per il weekend di Pasqua 310 mila ospiti nelle strutture alberghiere, +5% rispetto al 2013. È vero, però, che in questi giorni fa storia a sé e il dato è drogato – perché destinato a crescere spropositatamente al confronto – dal mega evento del 27 aprile, la canonizzazione dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Per l’occasione la macchina organizzativa è di quelle imponenti: oltre quattromila vigili allertati e oltre duemila volontari della Protezione civile tanta è la presenza di fedeli prevista a San Pietro.
Ma non è sugli eventi epocali che si può ogni volta confidare, soprattutto quando l’Istituto Europa Asia (Iea) stila una classifica di 55 Paesi in cui l’Italia si colloca al 34esimo posto per attrattività, per storia, lingua e influenza. Eppure non servirebbe poi così tanto, suggerisce l’Eurispes: “Basterebbe un euro pubblico investito in cultura in Italia per generarne altri venti di Pil”.

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