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L’India di Narendra Modi

di Mirko Spadoni

narendra_modi--621x414--621x414Narendra Modi si sente di fare una prima promessa: “Arriveranno bei giorni”. Un auspicio che oltre mezzo milione di indiani, gli stessi che alle ultime elezioni hanno votato per lui, sperano si realizzi al più presto. Infatti e sebbene i risultati dello spoglio delle schede non siano ancora definitivi, il partito di Modi (il Bharatiya janata party) ha già ottenuto la maggioranza assoluta – non accadeva da trent’anni – dei seggi in Parlamento, pari a 272 sui 543 complessivi.
Ma andiamo con ordine: gli indiani chiamati alle urne, per quelle che sono le più grandi elezioni democratiche della storia, sono stati 814,5 milioni (100 in più rispetto alle consultazioni del 2009). Le urne si sono aperte il 7 aprile per poi chiudersi oltre un mese dopo: il 12 maggio. L’affluenza si è attestata al 66,8% (551 milioni di elettori), l’ultima volta (nel 2009, per l’appunto) ‘soltanto’ il 58% partecipò alle votazioni. Inciso: a differenza di quanto accaduto nel corso dell’ultima consultazione, gli elettori hanno potuto non esprimere alcuna preferenza, consegnando una scheda bianca (None of above). Le votazioni sono state necessarie per scegliere i 543 deputati della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano, che sarà costituita entro il 31 maggio. Secondo la Costituzione indiana, la Lok Sabha può accogliere un massimo di 552 membri, di questi la maggior parte (530) rappresentato la popolazione degli Stati, 20 la popolazione dei Territori dell’Unione (ovvero i distretti amministrativi indipendenti dagli Stati in cui si trovano) mentre due possono essere nominati – in rappresentanza della comunità anglo-indiana – dal presidente della Repubblica.

Chi è Modi e cosa vuole per l’India
Nel corso degli otto mesi di campagna elettorale, Modi si è dato un gran da fare: il suo partito sostiene che ha percorso 300 mila chilometri, per raggiungere più elettori possibili. Un lavoro che ha dato i suoi frutti: la maggior parte dei votanti (mezzo milione circa) ha poi deciso di scegliere lui, che per 12 anni ha guidato il Gujarat, Stato dell’India nord-occidentale dove vive solo il 5% della popolazione indiana, che fornisce il 16% della produzione industriale del Paese, il 22% delle esportazioni e dove – proprio grazie a Modi – il 90% delle strade è asfaltato e la corrente elettrica è disponibile 24 ore su 24. Il leader del Bjp ha così la grande occasione per mettere in pratica ciò che ha promesso: un governo efficiente (oltre che non corrotto) e le riforme necessarie per il rilanciare l’economia indiana. Eppure c’è chi si dice preoccupato per la vittoria di Modi. In una lettera inviata al quotidiano britannico The Guardian, diversi intellettuali e artisti indiani (tra cui lo scrittore Salman Rushdie) avevano etichettato la sua ascesa come “dannosa per l’India quale Paese che predilige gli ideali dell’inclusione e della protezione per tutto il suo popolo e le comunità”. Perché tanta diffidenza? Oltre al suo passato (ha iniziato la sua carriera politica nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un’organizzazione hindu di “estrema destra”) Modi è sospettato di complicità nei massacri di centinaia di musulmani nel corso dei disordini scoppiati nel suo Stato nel lontano 2002. Accuse mai provate, che però hanno spinto Stati Uniti e Unione europea a negargli per diversi anni il visto d’ingresso nei loro Paesi. Una volta eletto primo ministro, Modi dovrà proteggere il 13% della popolazione indiana di fede musulmana e mantenere le promesse fatte: combattere la corruzione e riformare – rendendolo efficiente – il Paese.

L’economia indiana e le sue difficoltà
Sfide non di poco conto per l’India che, secondo uno studio della Banca Mondiale, è ormai la terza economia del pianeta (nel 2005 era la decima). Eppure Nuova Delhi ha rallentato la sua corsa, passando dal 10,3% del 2010 al 6.6% del 2011 e al 4,7% del 2012 (dati Banca Mondiale). Performance insufficienti per l’India, “che – come scrive Gianluca Di Donfrancesco de Il Sole 24 Ore – ha bisogno di espandersi almeno del 6,5-7,5% per assorbire i 10-12 milioni di giovani che ogni anno bussano alle porte del mercato del lavoro” e dove il 33% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.

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