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La Libia alla prova del voto

di Mirko Spadoni

LibiaLe elezioni del luglio 2012 non sono valse a nulla. La Libia, che vive forse uno dei momenti peggiori dal punto di vista politico ed economico, spera così che il risultato del voto di mercoledì 25 giugno possa garantire una maggiore stabilità al Paese. Un voto necessario per eleggere la Camera dei rappresentati, il nuovo Parlamento libico. In tutto saranno circa 2.000 i candidati che si contenderanno i 200 seggi a disposizione. E’ però necessario fare un piccolo passo indietro: il Parlamento, nato dalle elezioni del 2012, ha perso – quasi subito – la legittimità e l’autorità necessaria per guidare la Libia. Favorendo così l’ascesa di formazioni estremistiche come Ansar al-Sharia, contrastata ultimamente da Khalifa Haftar, un ex generale dell’esercito di Gheddafi.

Il rischio della bassa affluenza
Oltre alla questione legata alla sicurezza, totalmente assente in diverse regioni del Paese soprattutto nell’est (Cirenaica) e nel sud (Fezzan) dove sarà impossibile votare, l’attenzione è rivolta anche a quanti libici si recheranno alle urne. I precedenti non fanno ben sperare: leggendo i dati dell’affluenza alle elezioni politiche del 2012 e quelli delle costituzionali del 2014, emerge infatti una notevole flessione. Nel 2012 votarono circa 1 milione e 700 mila persone su circa 2 milioni e 800 mila persone che si erano preventivamente registrate nelle liste elettorali (questa volta quelle che si sono iscritte nelle liste sono ancora di meno: un milione e mezzo). Nel 2014, sono invece stati poco meno di 500 mila i libici (su oltre un milione di persone registrate) che hanno votato per la Costituente. Piccolo appunto: su una popolazione di oltre 5 milioni e mezzo, si stima che siano oltre 3 milioni e mezzo gli aventi diritto al voto in Libia. Ma al di là delle elezioni, ciò che maggiormente preoccupa è anche la situazione economica del Paese.

Il crollo della produzione petrolifera
La produzione nei primi mesi del 2014 si è attestata tra i 200 mila e i 500 mila barili al giorno, secondo i dati del Middle East Economic Survey. Niente a che vedere con la produzione precedente al conflitto del 2011 (circa 1,7 milioni di barili) e con quanto era accaduto nei mesi immediatamente successivi alla fine della rivoluzione: da settembre 2011 ad aprile del 2012, la produzione aveva raggiunto circa 1,5 milioni barili al giorno. Causando enorme perdite economiche: 6 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2014. La Libia, un Paese fortemente dipendente dall’estrazione del greggio (il 95% delle esportazioni è infatti riconducibile all’energia), ha dovuto così attingere alle riserve della Banca centrale, scese rapidamente dai 132,5 miliardi di dollari dello scorso anno ai 110 miliardi attuali. Sono invece 36 i miliardi stanziati per il 2014, anche se non è ancora stato approvato ufficialmente.

L’arresto di Khattala, il presunto organizzatore dell’attentato di Bengasi
Qualche giorno fa (era il 17 giugno) la CIA e l’FBI hanno catturato il presunto organizzatore dell’attentato dell’11 settembre del 2011 a Bengasi. Quello in cui fu ucciso l’ambasciatore statunitense Christopher Stevens e altri tre cittadini americani: Ahmed Abu Khattala, che ora – secondo fonti del Pentagono – si troverebbe a bordo di un un’unità della Marina statunitense, la USS New York, in viaggio verso gli Stati Uniti. Un arresto che ha suscitato qualche perplessità sulla tempistica: fin dalle ore immediatamente successive all’attentato, Khattala venne indicato come il presunto responsabile. Tutto questo non gli impedì comunque di rilasciare un’intervista al New York Times, “sorseggiando un frappé alla fragola, comodamente seduto sul patio di un lussuoso hotel di Bengasi”.

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