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Conviene alla Scozia l’indipendenza?

di Fabio Germani

alex_salmond“La sterlina, ovviamemente”. Una risposta lapidaria, quasi a non ammettere repliche. Con il dibattito televisivo di martedì 5 agosto si è aperta ufficialmente la campagna referendaria per l’indipendenza della Scozia da Londra. Dunque, è l’idea dell’indipendentista Alex Salmond, da questo punto di vista poco cambierebbe per i cittadini scozzesi. Alistair Darling, ex ministro delle Finanze nel governo di Gordon Brown e promotore della campagna Better Together (meglio insieme), aveva posto il quesito al rivale: “Immagino che la nostra bandiera resterà quella con la croce di Sant’Andrea, che la nostra capitale resterà Edimburgo. Ma mi saprebbe dire che moneta avremo?”.
“La sterlina è tanto scozzese quanto dell’Inghilterra”, ha ribattuto Salmond.

Indipendenza fiscale
La via referendaria è stata accolta da Londra verso la fine del 2012, con la firma dell’accordo di Edimburgo. Le consultazioni si terranno il 18 settembre e per il momento i sondaggi sembrano premiare il fronte del no. Gli entusiasmi dell’inizio – per quanto l’indipendenza della Scozia sia un tema caro a molti – sono di fatto scesi al 36% (secondo altri sondaggi sono fermi al 43%), in ogni caso la retorica degli svantaggi-superiori-ai-vantaggi deve avere fatto presa. Almeno per ora. La posizione di Salmond, primo ministro scozzese, è nota da sempre: “Dovremmo essere noi ad avere il controllo del nostro successo”.
Salmond, anche questo non è un segreto, mira particolarmente all’indipendenza fiscale. E rassicurazioni gli sono arrivate in questo senso proprio alla vigilia del primo dibattito televisivo. Il premier conservatore David Cameron, il suo vice liberaldemocratico Nick Clegg e il leader dei laburisti Ed Miliband hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui assicurano al Parlamento scozzese (istituito nel 1998) maggiori poteri anche in materia fiscale e sul welfare oltre alle competenze già acquisite per l’istruzione, l’ambiente e l’agricoltura. Ma Salmond ha respinto al mittente la proposta di “conciliazione” bollandola come superflua e vaga.

Petrolio e debito
A cuore, poi, e non da pochi giorni, i fautori dell’indipendenza hanno il petrolio di Aberdeen per cui vorrebbero l’esclusiva. In passato la questione era stata l’asso nella manica, la carta da giocarsi contro qualsiasi opposizione al progetto separatista. Oggi non è più così. L’anno scorso, inoltre, Taxpayer Scotland diffondeva uno studio secondo cui, in caso di indipendenza, gli scozzesi correrebbero il rischio di doversi sobbarcare un debito di 270 miliardi di sterline (all’incirca 300 miliardi di euro), vale a dire più del doppio del Pil annuale. E il contraccolpo economico sarebbe comunque reciproco, quando Londra fu generosa, tempo fa, nell’intervento in extremis a favore della Royal Bank of Scotland, altrimenti prossima al fallimento.

La questione europea
Infine c’è la questione europea. Cosa ne sarà della Scozia indipendente nell’ambito comunitario? Più volte si è sostenuto che il paese erediterebbe lo status di membro dell’Ue. In realtà, quando se ne parlò lo scorso anno, l’ex presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, affermò che tale meccanismo non è affatto automatico e che Edimburgo deve adempiere a tutte le procedure per far parte dell’Unione. E questo complica le cose, anche per quanto riguarda i possibili (futuri) rapporti con l’Inghilterra che, a sentire spesso Cameron, in Europa ci si vede sempre meno.

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