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Il business delle sostanze stupefacenti

di Mirko Spadoni

cannabisHector Beltran Leyva è stato arrestato dalle forze di sicurezza messicane mentre sedeva comodamente in un ristorante a San Miguel de Allende, una località turistica nel centro del Paese. Quarantanove anni, Beltran Leyva è considerato il leader dell’omonimo cartello nato nel 2008 da una scissione con Sinaloa, una delle organizzazioni criminali tra le più temute e a sua volta orfana del suo boss: Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera, arrestato nel febbraio scorso e considerato dalla rivista Forbes uno degli uomini più potenti al mondo. “El Chapo” era del resto a capo di uno dei gruppi criminali con un ‘fatturato’ annuo stimato attorno ai 3 miliardi di dollari. “Paragonabile – osservava qualche tempo fa il New York Times – a quello di Netflix o di Facebook”.
Una stima attendibile se soltanto si tiene conto che secondo un rapporto del Dipartimento di Giustizia statunitense, le sostanze stupefacenti vendute negli Stati Uniti fruttano ogni anno ai cartelli colombiani e messicani da un minimo di 18 miliardi di dollari ad un massimo di 39 miliardi.
I boss e i loro affiliati sono così disposti a tutto pur di difendere il traffico di sostanze stupefacenti come eroina, cocaina, marijuana e metanfetamina. Molte delle quali sono destinate al mercato statunitense (secondo uno studio del Dipartimento della Giustizia americano, circa il 95% della cocaina diretto negli States transita per il Paese messicano) e di quelle prodotte proprio in Messico, che secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (World Drug Report 2013) è il maggior produttore di oppio del continente americano.
A nulla valgono gli sforzi del governo messicano, che solo nel 2013 ha investito 9,4 miliardi di dollari nelle forze di sicurezza (+3,7% rispetto all’anno precedente) e che nel 2006 – sotto la presidenza di Felipe Calderón – inviò oltre 50 mila militari e agenti di polizia nelle città e nelle regioni più a rischio. Un’operazione repressiva conclusasi nel 2012, quando Enrique Peña Nieto sostituì Calderón alla guida del Paese, e nel corso della quale persero la vita oltre 55 mila persone. Molte altre (oltre seimila) sono invece quelle di cui si sono perse le tracce, mentre diverse sono state le accuse contro l’operato delle forze dell’ordine, colpevoli di aver ripetutamente violato i diritti umani attraverso uccisioni e torture, secondo Human Rights Watch.
Le organizzazioni criminali hanno avuto così la possibilità di incrementare la propria presenza anche oltre confine: secondo uno report del Dipartimento di Giustizia americano, sono almeno 1.000 le città statunitensi dove è accertata la presenza delle organizzazioni criminali messicane nel 2010.

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