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La difficile situazione dell’economia russa

Complice anche il crollo del prezzo del petrolio, il Prodotto interno lordo russo potrebbe contrarsi del 4,5% nel 2015
di Mirko Spadoni

Vladimir PutinIl crollo del prezzo del petrolio, le tensioni geo-politiche, le sanzioni dei Paesi occidentali, la fuga di capitali e il deprezzamento del rublo pesano negativamente sull’economia di Mosca, che già da tempo presentava ritardi e che necessitava di numerose riforme strutturali.
Nella notte tra lunedì 15 e martedì 16 dicembre, la Banca centrale russa ha alzato i tassi di interesse dal 10,5 al 17% rendendo così il costo del denaro più elevato. Quali sono i motivi alla base di questa decisione che rischia di rendere troppo costosi i crediti per banche e imprese?
Innanzitutto contenere il pericolo di deprezzamento del rublo: ad oggi, per acquistare un dollaro occorrono 72 rubli. A gennaio, ne bastavano poco meno di 33. Ma anche per limitare i pericoli di un ulteriore aumento dell’inflazione (+9,1% a novembre) destinata a toccare l’11,5% nel 2015, secondo le stime della Banca centrale russa. Molto lontano dal target fissato al 4%. Oltre ad incrementare i tassi d’interesse (si tratta del sesto aumento da marzo) la Banca centrale russa ha utilizzato negli ultimi mesi circa 100 miliardi di dollari delle sue riserve valutarie lorde sempre in difesa del rublo.
L’eccessiva dipendenza dalle fonti energetiche, a cui è riconducibile un quarto del Prodotto interno lordo russo, contribuisce ad aggravare una situazione già difficile. Il prezzo del petrolio, che si aggira attorno ai 60 dollari a barile, non permette a Mosca di dormire sonni tranquilli.
Per chiudere in pareggio il bilancio del 2015, la Russia avrebbe infatti bisogno di vendere un barile di petrolio a 107 dollari, stando ai dati di Citi Research. Ma c’è di più: la finanziaria per l’anno prossimo firmata dal presidente russo Vladimir Putin si basa infatti sulla previsione che il prezzo medio del petrolio si attesti a 95 dollari. Qualora la situazione non dovesse cambiare, spiegano gli analisti della Banca centrale, il PIL russo potrebbe contrarsi del 4,5-4,7% nel 2015.
Il petrolio non è tuttavia l’unica preoccupazione: a breve scadranno i debiti contratti dalle imprese russe (22 miliardi di dollari solo a dicembre, secondo stime ufficiali), alcune delle quali – complici le sanzioni imposte da Stati Uniti ed Unione europea a causa della crisi ucraina – non possono più fare affidamento sui finanziamenti internazionali. Soltanto qualche giorno fa, una di queste (la Rosneft, colosso energetico al 50,1% di proprietà statale) ha ricevuto indirettamente oltre 10 miliardi di dollari dalla Banca centrale, scontando così alcune delle recenti scelte di Mosca in politica estera.
Nell’elencare le cause alla base di questa difficile situazione economica è impossibile infatti escludere quanto sta accadendo in Ucraina. L’annessione della Crimea e il sostegno ai miliziani filo-russi nell’est del Paese hanno determinato la fuga di capitali (solo nel 2014, abbandoneranno la Russia tra i 125 e i 130 miliardi di dollari) oltre all’imposizione delle già citate sanzioni, che costeranno alla Russia 40 miliardi di dollari soltanto nel 2014, secondo quanto riferito recentemente dal ministro delle Finanze Anton Siluanov.

(articolo pubblicato su Tgcom24 il 17 dicembre 2014)

 

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