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Il governo tecnico e chi verrà dopo

Dice Elsa Fornero, nell’intervista a Panorama, che la riforma del mercato del lavoro “non è per pezzi separati, ma considera l’intero ciclo lavorativo di una persona”. E ancora che si tratta di una riforma per combattere la recessione e che, dunque, “per giudicarla è bene considerarla nel suo insieme, collocandola nella giusta prospettiva, perché non può dare risultati nell’immediato”. Poi afferma altro, qualcosa per cui potrebbero non mancare polemiche: “Vogliamo un mercato del lavoro più inclusivo, che porti dentro i giovani precari. Ma anche più dinamico. Significa che una volta che hai un posto, non puoi considerarlo tua proprietà, e per di più a vita”. In soldoni, spiega Fornero, si è deciso di riformare l’articolo 18, “non certo per penalizzare i lavoratori o avvantaggiare le imprese, ma per avere più occupazione in un mercato dinamico dove alla maggiore probabilità di uscita si accompagna una maggiore probabilità di entrata”.
In poche parole c’è molto della linea che il governo Monti ha tentato di inculcare nella testa dei cittadini e degli addetti ai lavori. Tant’è che per l’ennesima volta, mercoledì, il presidente del Consiglio, parlando all’assemblea nazionale dell’Anci, ha ammesso come le misure adottate dall’esecutivo siano da considerarsi sì “brutali”, ma allo stesso tempo inevitabili per togliere il tappo alla crescita ed evitare la catastrofe. Tutte cose, ha ribadito, i cui benefici verranno apprezzati in futuro. E che perciò – al netto di polemiche su agenda Monti sì, agenda Monti no – impegnerà chi verrà dopo se non proprio a proseguire l’identico percorso, almeno a seguirne le orme.
Intanto il brutto “quarto d’ora” dell’Italia non si arresta. E le misure “brutali” varate dal governo gravano sulle tasche dei cittadini. Nelle più rosee delle intenzioni la riduzione delle aliquote Irpef (dal 23 al 22% e dal 27 al 26%) dovrebbe far risparmiare ai contribuenti 6,5 miliardi di euro, compensando l’aumento dell’Iva. Ma, ha avvertito in questi giorni la Cgia di Meste, potrebbe anche trattarsi di uno specchietto per le allodole. L’effetto composto della riduzione dell’Irpef, dell’aumento dell’Iva, dell’introduzione della franchigia e del conseguente taglio delle deduzioni e detrazioni fiscali – è il calcolo della Cgia – costerà alle famiglie italiane 2,5 miliardi di euro.
Un’eccessiva pressione fiscale, nell’immediato, non aiuta né imprese, né famiglie. Tuttavia il voto di mercoledì in Senato al ddl corruzione (che ora passa alla Camera) è un’ottima notizia. Sebbene ancora monco di alcuni provvedimenti ritenuti fondamentali (ma la ministro della Giustizia Severino ha assicurato ulteriori interventi in materia) è un inizio che fa ben sperare. La corruzione è tra i peggiori tappi alla crescita – parafrasando lo stesso Monti –, pesa negativamente per 60 miliardi di euro e, come ricorda Il Sole 24 Ore, riduce gli investimenti stranieri del 16%, blocca le imprese e comprime il reddito del 2,4%. Una misura tanto importante stava riscontrando non poche difficoltà sulla via dell’approvazione e probabilmente la sterzata è avvenuta a causa delle ultime impietose vicende politiche. Ma ciò che conta è il risultato, essendo l’Italia collocata al 67esimo posto della classifica mondiale sulla corruzione percepita (paesi come Ghana e Rwanda sono avanti a noi, per dire). E su questo tema non si può perdere altro tempo. Non c’è agenda che tenga, insomma. Dovrà essere un provvedimento su cui – sempre chi verrà dopo Monti – dovrà accertarne senza troppi fronzoli la corretta applicazione.

F. G.

 

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