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Università e ricerca nel decreto del fare

ricerca_fuga_di_cervelliMeno investiamo in ricerca e innovazione, più si delinea il fenomeno conosciuto come fuga di cervelli. L’analisi condotta dall’Istat nel 2012 afferma che «sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca, tra coloro che hanno conseguito in Italia il titolo negli anni 2004-2006, oltre il 7% nel 2010 si è trasferito all’estero, mentre il 13% ha dichiarato di emigrare entro un anno».
Le condizioni di lavoro all’estero sembrano essere migliori. In particolare, un sondaggio pubblicato sul Dossier Italiani nel Mondo 2011 e condotto sui duemila ricercatori italiani all’estero iscritti nella banca dati DA VINCI, rileva come la maggior parte di loro abbia ottenuto incarichi di rilevo e non sia intenzionata «ragionevolmente» a ritornare a casa (63%). «Sono – si legge nel Rapporto Italia 2013 dell’Eurispes – principalmente professori ordinari, ricercatori senior, direttori di ricerca o docenti, pochi sono invece i titolari di assegni di ricerca».
Ovviamente i ricercatori non sono gli unici a decidere di lasciare l’Italia. Infatti, negli ultimi anni, si è registrato un aumento delle partenze di giovani laureati «per proseguire la formazione o per intraprendere un percorso professionale all’estero», nel 2002 erano l’11,9% del totale, mentre nel 2011 sono saliti al 27,6%. Negli ultimi nove anni, secondo il rapporto Istat Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente è sostanzialmente triplicato il numero dei laureati che ha lasciato il Paese. Mentre il numero di emigranti italiani di 25 anni e più è passato da 29 a 39 mila unità.
Secondo un’indagine Tecnè, Gli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia (novembre 2012), nel nostro Paese la spesa è pari all’1,3% del Pil. Meno di Francia e Spagna, Repubblica Ceca, Irlanda, Australia e Cina. La Germania e gli Stati Uniti spendono più del doppio; il Giappone, la Finlandia e la Svezia più del triplo. E il calo di investimenti in ricerca e sviluppo ha contribuito alla fuga di cervelli: il 7% dei ricercatori ha infatti lasciato l’Italia.
Nel triennio 2009-2011, oltre metà degli investimenti in ricerca e sviluppo sono stati effettuati delle imprese (52,9% del totale), e la parte restante sostenuta dall’Università (30,3%), dalle istituzioni pubbliche (13,4%) e dal settore non profit (3,4%). L’elemento più rilevante in questo desolante quadro è che, rispetto alla media europea e agli obiettivi di Lisbona nella suddivisione tra partecipazione pubblica e privata alla ricerca, in Italia il settore privato, invece, contribuisce molto poco. I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è rappresentato dalla ragnatela di piccole e medie imprese che caratterizza il tessuto imprenditoriale italiano e che associa al concetto di ricerca quello di alto rischio e di non rientro dell’investimento. Il secondo motivo è che, con la privatizzazione del sistema delle imprese a partecipazione statale, la logica di mercato ha ridimensionato drasticamente gli investimenti in ricerca e sviluppo.

Tra le misure che il governo ha inserito all’interno del “decreto del fare” è previsto ad esempio lo sblocco del turn over al 50% per Università ed enti di ricerca dal 2014. Ovvero, viene spiegato, “si ampliano le facoltà di assumere delle università e degli enti di ricerca per l’anno 2014, elevando dal 20% al 50% il limite di spesa consentito rispetto alle cessazioni dell’anno precedente (turn over). Le singole università potranno quindi assumere nel rispetto delle specifiche disposizioni sui limiti di spesa per il personale e per l’indebitamento senza superare, a livello di sistema, il 50% della spesa rispetto alle cessazioni. Con questo provvedimento si liberano posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in ‘tenure track’ sul Ffo nel 2014. Spesa prevista: 25 milioni nel 2014; 49,8 nel 2015”.
Inoltre sono previsti “cinque milioni per il 2013 e per il 2014, 7 milioni per il 2015 da iscrivere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università per l’erogazione di ‘borse per la mobilità’ a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi per l’anno accademico 2013-2014 a corsi di laurea in regioni diverse da quella di residenza”.
“Per questo – è il ragionamento fatto a Palazzo Chigi – si unificano in unico fondo le risorse attualmente destinate al finanziamento ordinario delle università (FFO) alla programmazione triennale del sistema, ai dottorati, e agli assegni di ricerca. Nello stesso provvedimento si decide di sottoporre all’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) la valutazione dei servizi delle università e degli enti di ricerca per semplificare il sistema di valutazione attualmente in vigore”. E a favore della ricerca, infine, il ministero promuoverà interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività (sia di ricerca fondamentale, sia di ricerca industriale) mediante la concessione di contributi alla spesa nel limite del 50% della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili sul Fondo per la ricerca applicata (FAR). “Si tratta di utilizzare il fondo rotativo – conclude il governo –, che si alimenta con i rientri del credito agevolato, che contiene anche risorse da destinare a contributi a fondo perduto. Gli interventi da finanziare riguardano principalmente lo sviluppo di start up innovative e di spin off universitari, la valorizzazione di progetti di social innovation per giovani con meno di 30 anni, il potenziamento del rapporto tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca”.

 

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