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Le riforme per tornare a crescere

di Fabio Germani

bce_crisi_economicaLa Bce abbassa i tassi d’interesse allo 0,05% anche se, come ammesso dallo stesso presidente Mario Draghi, la decisione non è stata unanime. Una mossa che molti commentatori hanno definito “a sorpresa” e “coraggiosa” con lo scopo, chiaro, di arginare il rischio deflazione (Francoforte deve preservare la stabilità dei prezzi a livelli inflazionistici poco inferiori al 2% nel medio periodo). Secondo le previsioni della Bce l’inflazione che dovrebbe risalire all’1,4% (dall’attuale 0,3% nell’eurozona) soltanto nel 2016. Per il 2014 le stime si attestano allo 0,6%, valori distanti dallo standard. E Draghi aveva già avvertito, poche settimane fa a Jackson Hole, che la Banca centrale avrebbe usato “tutti gli strumenti disponibili necessari a garantire la stabilità dei prezzi”. Ma Draghi ha detto di più, in quella come in altre occasioni: servono riforme strutturali per far ripartire la crescita.
Il tema, negli ultimi tempi di vitale importanza, è stato al centro di un confronto tra Angela Merkel (da sempre assidua sostenitrice dell’austerity) e lo stesso Draghi (il quale invoca un cambio di rotta in un’ottica di politiche più espansive). La sintesi è Madrid, la cui ripresa passa per il rigore dei conti pubblici da un lato (per la Spagna rappresentano ancora un pericolo) e per una fase di espansione che deve al miglioramento della domanda interna la sua principale valvola di sfogo. Il lavoro, nonostante un tasso di disoccupazione molto alto (intorno al 25%, sempre), sta evidenziando segnali incoraggianti grazie all’adozione di una maggiore flessibilità con il dirottamento della contrattazione nazionale a quella aziendale o settoriale (sulla scia, a grandi linee, del modello tedesco). Tuttavia non si può nemmeno negare che al momento uno dei maggiori alleati di Merkel sul rigorismo sia proprio il premier spagnolo Mariano Rajoy.
Un ulteriore esempio proviene dal Portogallo (e in definitiva persino dalla Grecia, prossima all’uscita dalla recessione). Tra i paesi in difficoltà, Lisbona ha applicato alla lettera i dettami della Troika (Bce-Commissione europea-Fmi) pur assecondando le richieste di riforme urgenti, in particolare quella del mercato del lavoro non troppo difforme dal caso spagnolo. Nel secondo trimestre dell’anno l’economia portoghese è cresciuta dello 0,6% dopo una contrazione di pari entità nel periodo precedente, mentre per la fine dell’anno è prevista una crescita dell’1,2% e dell’1,5 per il 2015.
Il problema con le riforme è che il più delle volte sono impopolari e dunque piuttosto dispendiose in termini di voti per i governi che le promuovono. E quasi mai hanno effetti immediati che giustifichino misure tanto drastiche. Però premiano nel lungo periodo e hanno un costo che inevitabilmente si ripercuote sui conti pubblici. La Germania, che è l’economia trainante del Vecchio Continente, dovrebbe esserne a conoscenza visto che nel 2003 le fu concesso, nel pieno di una stagione di grandi riforme che l’hanno messa al riparo dalle intemperie della crisi, di sforare i parametri concordati. E anche quest’ultima osservazione è stata motivo di polemica nei mesi scorsi. Il rigore può essere utile in determinati frangenti, ma di troppo rigore si muore. È la rivincita, seppure estemporanea, della periferie d’Europa a dimostrarlo.

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