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Cosa cambia con il TFR in busta paga

di Fabio Germani

InpsIntanto, la definizione “accademica”. Per TFR si intende il trattamento di fine rapporto, ovvero – spiega l’INPS – “la somma che spetta a tutti i lavoratori subordinati che abbiano cessato un rapporto di lavoro per una qualunque causa. È disciplinato dall’ art. 2120 del Codice Civile, e si calcola sommando, per ogni anno, una quota pari alla retribuzione annuale diviso per 13,5 alla quale va aggiunta a montante la rivalutazione dell’importo accantonato l’anno precedente”.
L’idea di cui si dibatte in queste ore è la possibilità di inserire il corrispettivo mensile in busta paga a partire da febbraio 2015, all’incirca la cifra complessiva di uno stipendio (in più) all’anno. Siccome gli 80 euro non sono bastati a far ripartire i consumi, la cifra può essere incrementata da un’ulteriore entrata. Che per il momento non ha trovato il plauso del mondo delle imprese. Secondo le stime fin qui emerse si tratta di un flusso pari a 27 miliardi, euro più euro meno, che serve all’autofinanziamento delle piccole imprese o ad integrare i fondi pensione dei lavoratori dipendenti. Da qui il niet della Confindustria, che per bocca del suo presidente Giorgio Squinzi ha stigmatizzato la misura poiché “con un solo colpo di penna” sparirebbero 10-12 miliardi per le piccole imprese, mettendole in crisi di liquidità.
In teoria la possibilità di chiedere un’anticipazione del TFR è già disciplinata, ma riguarda alcune fattispecie. Ad esempio l’anzianità di almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro. In tal caso di può richiedere fino al 70% del TFR maturato alla data della richiesta. La domanda deve prima essere motivata da necessità come spese sanitarie di carattere straordinario, l’acquisto della prima casa di abitazione per il richiedente o per i figli, le spese da sostenere durante i congedi per maternità o per formazione. “Il diritto al TFR – spiega sempre l’INPS – si prescrive in cinque anni (art. 2948, comma 5, c.c.) che decorrono dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Quando il diritto al TFR è riconosciuto da sentenza di condanna passata in giudicato si prescrive in dieci anni (art. 2953 c.c.)”.
La richiesta è un aspetto cruciale del dibattito, perché il governo non intende (almeno stando a quanto è possibile ora sapere) rendere la misura strutturale, bensì è prevista la volontarietà. Saranno i lavoratori a stabilire se accedere all’anticipazione della somma maturata l’anno precedente e, se sì, con quali modalità (se in un’unica soluzione o nelle mensilità). Come le imprese possano sostenere le eventuali spese dipende dai dirottamenti di risorse che il governo vorrà adottare. Perché è possibile che l’azione si finanzi, per dirla con il premier Renzi, con “i soldi della Bce per le piccole imprese”, istituendo un fondo ad hoc gestito dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti. Dunque in verità, per le imprese, cambierebbe poco. Cambierebbe, invece, per i dipendenti che avrebbero in questo modo un importante margine di manovra, soprattutto in virtù di una possibile – visto che se ne discute – maggiore flessibilità in uscita. Significherebbe, in altri termini, offrire l’opportunità ai singoli di decidere per sé l’utilizzo di soldi in più in busta paga.
Ricordiamo che, allo stato, il TFR non è previsto per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa oltre che per i rapporti di lavoro autonomo in generale. In caso di insolvenza del datore di lavoro il trattamento viene erogato dal Fondo di garanzia (L.29 maggio 1982 n. 297) tramite l’INPS.

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