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Il Regno Unito al voto

di Fabio Germani

david-cameronL’economia del Regno Unito va a gonfie vele, almeno nel confronto con il resto della vecchia Europa. Ha subìto un rallentamento in questo inizio anno, vero, ma il trend resta positivo. Eppure David Cameron – che proprio sull’economia ha incentrato buona parte della campagna elettorale – non può dirsi sicuro della vittoria. Nel Regno Unito si vota giovedì 7 maggio (dalle 7 alle 22) e i due principali contendenti – il primo ministro conservatore Cameron, appunto, e il leader laburista, Ed Miliband – sono praticamente testa a testa, stando agli ultimi sondaggi. Dunque potrebbe verificarsi una situaziona analoga a quella del 2010, quando l’alleanza tra i tories e i LibDem di Nick Clegg scongiurò l’hung parliament. Salvo due possibilità, si presume entrambe improbabili al momento. La prima: che uno dei due grandi partiti ottenga la maggioranza assoluta (326 seggi); la seconda: che chi ottiene più voti decida di dare vita ad un governo di minoranza, cercando poi alleanze con i partiti minori di volta in volta per i singoli provvedimenti. Un’ipotesi che è trapelata negli ambienti conservatori, ma ancora prematura. L’unica cosa certa è che Cameron non si alleerà con chi esclude un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue, suo vecchio pallino. Al riguardo Clegg si è detto possibilista e possibilista lo è allo stesso modo sull’opportunità di allearsi con altri, se necessario. Qui sta il secondo punto cruciale: i LibDem, da ago della bilancia nel 2010, hanno oggi perso il loro peso specifico e, sondaggi alla mano, risultano essere la quarta forza in campo. Meglio, molto meglio, lo Scottish National Party, rinato dopo la sconfitta del referendum secessionista di settembre 2014 grazie alla (nuova) carismatica leader Nicola Sturgeon. Lo Snp dovrebbe aggiudicarsi 50 dei 59 seggi scozzesi e per quanto favorevole ad una collaborazione con il Labour, Miliband ha finora risposto picche a causa delle sue mire separatiste. Mai dire mai, però. Male, infine, molto male rispetto alle ultime elezioni europee, il partito euroscettico dell’Ukip di Nigel Farage. Che tuttavia qualcosa ai conservatori potrebbe pur sempre rosicchiare.
Il quadro così delineato dimostra come il tradizionale bipartitismo britannico, favorito da un sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali, sia non un lontano ricordo, per carità, ma comunque avvizzito. La crisi economica si è fatta sentire anche Oltremanica e non è una contraddizione in termini, in più è cresciuto il malcontento nei confronti dell’Ue. Anche il sistema politico ne ha risentito nel suo complesso. Ma in generale le cose negli ultimi due, tre anni sono andate decisamente meglio rispetto ai primi segnati dall’austerity. Il Pil del Regno Unito nel 2014 ha registrato una crescita del 2,6%, mentre nel trimestre gennaio-marzo 2015 l’incremento è stato dello 0,3% dopo lo 0,6% dei tre mesi precedenti, con le stime per quest’anno inferiori alle attese iniziali. Anche il mercato del lavoro è vitale, il tasso di disoccupazione è infatti sceso al 5,6%. Eppure tutto ciò sembra non bastare. Miliband si rivolge soprattutto a quella parte di popolazione per cui l’austerity è stata un peso, con i relativi tagli al welfare. Tema che, pur con le loro differenze, sta a cuore anche ai partiti minori. Qui c’è molto della posta in palio: quale indirizzo economico adottare nei prossimi cinque anni.

@fabiogermani

 

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