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I numeri della (in)sicurezza sul lavoro

di Fabio Germani

sicurezza_sul_lavoroC’è stato un momento in cui non si parlava d’altro. Il governo Prodi prima e il governo Berlusconi poi mettevano mano al testo unico sulla sicurezza sul lavoro: troppe le morti, l’Italia era maglia nera in Europa. Anni dopo, al contrario, il problema sembrava essere risolto. Non proprio in questi termini, intendiamoci, ma almeno le vittime sui luoghi di lavoro erano diminuite al punto che la soluzione sembrava ormai prossima. Nel 2012, ad esempio, si registrò un calo consistente sia degli infortuni che delle morti sul lavoro rispetto al periodo precedente. Oggi – qui è la notizia – siamo di nuovo al cospetto di un’inversione di tendenza. Negativa, però.
Secondo l’indagine dell’Osservatorio Sicurezza Lavoro di Vega Engineering (su dati Inail) nei primi otto mesi dell’anno sono morte 546 persone in occasione di lavoro contro le 489 dello stesso periodo dello scorso anno. La somma di questi ultimi decessi e quelli avvenuti in itinere (206) fa 752. Cento vittime in più del 2014, cifra tonda. In percentuale la crescita delle morti sui luoghi di lavoro è dell’11,7%.
Inutile spiegare che tutto questo – la mancata prevenzione che può dipendere da diversi fattori (risparmio sulla messa in sicurezza degli impianti o semplice negligenza) – abbia un costo, in termini sociali, d’accordo, ma anche in termini economici. Si pensi alle ore di lavoro perse per l’inabilità di chi ha subìto un infortunio invalidante (gli infortuni sul lavoro a maggio di quest’anno risultavano lievemente in calo rispetto ad un anno fa, ma pur sempre un numero notevole: 265 mila) e anche agli assegni concessi mensilmente agli invalidi del lavoro.
La questione non si chiude qui. Nel 2014 sono aumentate pure le malattie professionali (5.600 unità in più, passando così dalle 51.800 patologie denunciate nel 2013 alle 57.400 del 2014). I lavoratori deceduti nel 2014 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.488: un numero impressionante, ma che – osservava tempo fa Franco Bettoni, presidente Anmil, l’Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (a proposito: domenica 11 ottobre si celebra la la 65ᵃ Giornata Nazionale per le Vittime degli Incidenti sul Lavoro) – “normalmente non trova l’attenzione mediatica che la gravità del caso richiederebbe”.
L’incremento di morti sul lavoro segna un trend negativo che non si rilevava dal 2006 quando i decessi erano stati 1.261, in aumento dello 0,56% rispetto al 2005. Il calo del 2012, invece, è coinciso con la crescita graduale e costante del tasso di disoccupazione. La crisi, insomma, ha giocato la sua parte, tra meno occupati da un lato e aumento del lavoro nero – dunque non riscontrabile nei dati ufficiali Inail in caso di morti o infortuni – dall’altro. Ora questa inversione di tendenza (il Jobs Act, la cui saga si è conclusa di recente con l’approvazione dei decreti attuativi, ha tra le altre cose inasprito le sanzioni per alcune violazioni in materia di sicurezza) dovrebbe preoccupare a maggior ragione considerando che i miglioramenti del mercato del lavoro sono giunti negli ultimi mesi, e comunque non sufficienti a giustificare una tale risalita, visto che il settore delle costruzioni, tra i più in difficoltà negli anni della crisi, continua ad essere quello che registra il numero più elevato di morti e infortuni.
Stando all’analisi dell’Osservatorio Vega Engineering è la Lombardia a contare più casi di morte sul lavoro (il 15,4% del totale), essendo la regione con il maggior numero di occupati (4.310.018, dati Istat 2013). A seguire Toscana (10,1%), Campania (9,5%), Veneto (8,8%) e Lazio (8,4%).

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