Terzo polo, ancora nel segno di Segni?
Quando si parla di Terzo Polo, dopo 17 anni di bipolarismo all’italiana, la mente va inevitabilmente alle elezioni del 1994 e all’unica volta in cui un’aggregazione di forze provò a mettersi in mezzo tra destra e sinistra. E finì come tutti sappiamo.
L’analogia con quel 1994 la si può ritrovare nel terremoto giudiziario di Tangentopoli e in quelle scosse che oggi stanno invece riguardando Berlusconi. Per completezza di informazione và anche detto che quei tempi erano diversi: era appena sceso in campo Berlusconi con tutto il carisma suo e del “nuovo miracolo italiano”, dall’altra parte c’era Occhetto e la sua “gioiosa macchina da guerra” (sigh!) e, soprattutto, il sistema elettorale era maggioritario, lasciando per sua natura poco spazio alle terze ipotesi. Ed è ad uno dei padri fondatori di quel sistema elettorale che si fa riferimento qui.
A promuovere il referendum che cambiò la legge elettorale e spazzò via la Prima Repubblica fu infatti Mario Segni, in quel momento uno dei leader italiani più apprezzati. Eppure, il democristiano di Sassari, non seppe capitalizzare quel momento e si mise a capo di un improbabile terzo polo. Addirittura fu sconfitto nel suo collegio uninominale e fu eletto solo grazie al recupero proporzionale dell’allora Mattarellum.
Insomma, come si disse, Mario Segni aveva fatto tredici con la vittoria dei referendum ma aveva perso la schedina.
Oggi le cose sono certamente diverse ma lo spazio per un terzo polo è lo stesso, ossia pressoché inesistente. Tutte le ricerche danno a Fli-Udc-Api un dato tra il 10% e il 12%, pochino per puntare ad allargare la base del consenso fino a poter vincere le elezioni. E un anno, come dice Fini, neanche potrà bastare.
Ma sicuramente il tempo che ci divide dalle elezioni (due anni, se consideriamo la scadenza naturale) può essere sufficiente a valorizzare il proprio peso. Perché se è vero che i tre partiti insieme valgono relativamente poco, è pur vero che possono essere determinanti per far vincere uno dei due schieramenti.
Insomma, la schedina ora ce l’ha in mano Fini. Chissà che non la perda anche lui.