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La parola chiave: tradimento

C. A. Parmeggiani

Anni fa, nel corso di una conferenza milanese sul tema del tradimento nella letteratura, un relatore aveva argomentato sul fatto che, al di là delle vicende e delle psicologie romanzate, molte sono le ragioni per le quali si tradisce, tanto che non si riesce mai a venire a capo di un perché che non sia soltanto un’impostura. Ciò che quel relatore sosteneva come introduzione alla sua tesi, era ed è tuttora un’ovvietà, dato che agli occhi degli esperti (e ce ne sono più di quanti uno si creda), ci sono tradimenti tristi e tradimenti allegri, ingenui oppure calcolati, leggeri o assai gravosi, necessari oppure apparentemente immotivati. Si può tradire, inoltre, per un sentimento di insufficienza della vita, perché non se ne è i padroni o perché non si è indifferenti al dolore che si prova in certe situazioni che umiliano dappresso il nostro ego. Per certuni il tradimento sembra sia un’azione fatta a fin di bene, per altri invece è una chimica segreta di certe affinità elettive. Inoltre, e in misura assai meno spiritualizzata, si può tradir di tutto, almeno pare, dal partito nel quale un tempo si è creduto alla marca delle sigarette preferite e c’è pure chi si sente un rinnegato passando dal sigaro alla pipa. Si tradisce tutto e tutti per vigoria o sfinimento di immaginazione o di nevrosi, al punto tale che alle volte si arriva addirittura a tradire se stessi perché ci si è stancati di portare il proprio nome. E d’altronde a conti fatti si tradisce per il proprio interesse, perché si subisce, perché ci si ingobbisce a portare il peso di qualcosa, di un pensiero che non ci appartiene o la borsa in pelle di vitello di qualcuno.

Forse Giuda stesso, ossia il campione di un atto così estremo, sarebbe dello stesso avviso e forse chiederebbe se ne prenda la difesa, dopo che la storia ne ha fatto un bieco rancoroso, un mal nato, talvolta un poveraccio, un polentone dal cervello limitato. Insomma, per dirla in due parole, si tradisce e si è traditi in mille modi, a seconda dello stato di salute, di padronanza di se stessi e delle circostanze nelle quali ci troviamo. Ma poiché non sempre si è padroni della nostra vita al punto da non riuscire sempre a governare le nostre condizioni di salute e i contorni esistenziali dentro cui viviamo, va da sé che nei rapporti umani siamo talvolta preda di incontri fortunati o sfortunati. Di incontri fortunati o di contagi che talvolta non si possono evitare, già che la nostra esistenza è pur sempre una parte di un insieme: di una famiglia, di una associazione, di un partito, di una comitiva in gita di piacere, persino di una banda di drogati, ladri o malfattori. Insomma, per non farla lunga oltremisura e limitandosi a dei personaggi letterari, il relatore di quella conferenza milanese avevo sostenuto che i Giuda che Dante mette in fondo alla Caina o i Riccardo III shakespeariani, i Lord Jim conradiani, i Kilpatrick di un breve racconto borgesiano e altri ancora, facevano e fanno parte di un insieme e perdipiù erano persone di riguardo e molto umane e inoltre non erano da meno degli eroi e delle soavissime eroine di Stendhal, Bianciardi, Goethe o Tanizaki. Nulla da eccepire.

Gli eroi letterari possono ben esser negativi. Chi lo vieta?… Però, se si allunga il passo e si va un po’ oltre i personaggi della letteratura, capita talvolta d’incontrare i nostri deputati o senatori, che stiano a sinistra o a destra di chi li guarda in faccia dal bancone della presidenza e del governo istituito. Orbene, pur non volendo fare della politica italiana un argomento della narrativa o peggio ancora un teatrino, pare proprio che una parte dei nostri parlamentari non sfugga a questo umano e ragguardevole destino. Del resto chi è mai più di riguardo di una persona che si fregia del titolo di onorevole oppure senatore? E cosa sono i politici italiani se non i rappresentanti e i portavoce dei diritti, dei desideri, della volontà e dei destini di una popolazione, a cui pure il romanziere attinge a piene mani? E’ certamente arduo definire il tradimento e il trasformismo in tutte le pieghe e i suoi attributi. Ma di sicuro il tradimento e il trasformarsi da timido anatroccolo in vipera cornuta deve avere i suoi perché e i suoi percome. Tanto che può essere che accada che un bel giorno i genetisti e i biologi ingegneri scoprano che tutto ciò dipende dalla carica esaurita o incrementata di un elettrone, o dalla molecola di una proteina la cui genealogia passa per il DNA di Giuda. E, siccome atomi e molecole se ne vanno sempre in giro, spinte da una forza ancora sconosciuta, può essere che ne venga fuori che a saltar di qua e di là alla Camera e al Senato sia soltanto colui che ha più occasioni di tradire o di esserne tentato. Però, siccome per chi non è uno scienziato o non ha per le mani una verità assoluta diventa difficile trovare una ragione che non esaurisca le energie cerebrali in ragionamenti troppo complicati e dispendiosi, verrebbe facile pensare di mandare tutti quanti a quel paese… Soluzione qualunquistica ed estrema, ma che è nondimeno quella più adottata, se si hanno gli occhi per vedere, da chi non va a votare alle elezioni.

Oggi, a detta di certuni, di quei tali, si è così globalizzati, scolarizzati e secolarizzati, sanremizzati, americanizzati e altri “ati”, che a qualche spirito salace non mancherebbero di certo le battute per dire che siamo indegnamente o felicemente anche sodomizzati. Tant’è che ai giorni nostri tutto appare così regolamentato e istituzionalizzato che il tradimento e l’essere traditi da dei voltagabbana deputati finiscono con l’esser degli assiomi o dei postulati della politica italiana, al punto di non fare più notizia o di non essere più di scandalo a nessuno, come in un romanzo d’appendice o come l’annuncio anticipato del vincitore di Sanremo. si tradisce e si è traditi in mille modi Sebbene la politica non sia un festival della canzone e sia tutta un’altra cosa dalla narrativa, pure chi la fa (ossia pure noi per quanto ci compete con il voto) non può chiamarsi fuori da quegli assiomi e da quei postulati. Anzi è la politica stessa (ossia anche noi stessi) il più delle volte a scriverne di nuovi, a distribuire in qua e in là i germi del venir meno alla parola data, alla fede dichiarata e all’ideologia che, semmai, la sosteneva. Ci sono esempi che ai giorni nostri hanno fatto scuola più di un seminario sull’arte di tradire o di trasformarsi da ranocchio in piccolo sovrano. La consuetudine per ora contenuta (ma c’è da supporre che assurgerà in futuro al rango di sistema), la consuetudine, dicevo, al trasformismo dichiarato in faccia ai media, oggi ha preso piede al punto tale che verrebbe da pensare che per alcuni dei nostri deputati il passaggio dall’uno all’altro lato della aule parlamentari rende tollerabile ogni cosa, e ancor più la generale assenza di un pensiero politico appropriato alle necessità del nostro Paese. Ci sarebbe di che ridere o forse di che piangere a pensare a come certi temi così cari a ideologi, politici, cospiratori e rivoluzionari del passato, come la giustizia, le virtù, la rettitudine morale e altre categorie dell’etica civile, siano oggi così mortificate da sembrare soltanto gli accessori di un potere politico proteso al bene personale, o al calcolo veloce di ciò che conviene o non conviene in un mondo fatto di prodotti interni lordi, di crisi finanziarie e di efficienze gestionali. Non è da ieri e né dall’altro ieri che si sente spesso dire che in politica il non cambiare idea è dei cretini. E d’altronde, per quei “cretini” che non cambiano parere, si fa presto ed è facile dare del traditore, del Giuda, del voltagabbana a un parlamentare che cambia di casacca e di partito. Forse è perché si è ancora figli, nipoti o pronipoti di quel machiavellismo che giustifica ogni mezzo per un fine, dimenticando troppo facilmente che quel fine, a cui tendeva le speranze e i suoi pensieri quel grande fiorentino, era il bene di tutti, il bene di uno Stato. Si sente dire, tirando su dal naso, che l’agire politico è per sua natura ambiguo, furbesco, opportunista, traditore e che non combina affatto, anzi che non deve combinare con ciò che prescrive la morale nella sua astrazione. Ma chi lo dice, scambia spesso amabilmente e a bella posta la sua condotta personale per un’etica civile, che è più un’etologia che non un insieme di precetti religiosi a cui peraltro non crede più nessuno.

Eppure accade a volte che un politico che cambia di berretto e di bandiera ne spieghi pubblicamente le ragioni, attingendo i suoi ragionamenti da ciò che sa ancora, guarda caso, di morale, ovvero la sua, finemente combinata alle fumisterie e alle astrazioni che non reggono a un esame ragionato. E c’è poi chi ascoltando dice che non si tratta di ragioni con tanto di perché e di percome, ma soltanto di slittamenti personali verso la possibilità di diventare ciò che non si è ancora e che si è sempre voluto diventare: un uomo di sostanza, un capobastone, un fine consigliere, un dottor sottile, il primo gregario che tira la volata del campione. Oppure accade che chi cambia di divisa, aggiungendo una stelletta alle spalline, si chieda in privato, almeno lo si spera, se quel che ha fatto lo ha fatto a fin di bene, di tutti, intendo dire, o solo il suo, nella fattispecie, dato che per avere un vitalizio dallo Stato occorre almeno una comparsata quinquennale fra i banchi del Parlamento o del Senato. E ancor di più succede che quei poveri “cretini”, quei traditi che non cambiano bandiera per cieca o ponderata fedeltà a un ideale o per convinzione, si chiedano, fra sé e con gli amici, che cosa potrà mai accadere all’equilibrio delle forze politiche schierate, o perlomeno della loro condizione esistenziale. Ebbene, dato che il nostro Bel Paese è davvero assai geniale e fantasioso, il più delle volte non accade nulla di quello che si teme o che si spera. Il poveraccio si guarda sconsolato le tasche con il buco, tirando cancheri e madonne a quel che vede, e chi può si passa il fine settimana magari a Londra, che va tanto di moda, oppure in villa con tanto di jacuzzi e di piscina. Il fatto è che oggi più di ieri il trasformismo dichiarato sui giornali e alla televisione appare sempre più una semiseria buffonata, un ossimoro della politica italiana, che in realtà, però, rivela una questione un po’ più seria o almeno complicata. Ovvero la demolizione delle basi sulle quali si regge la fiducia di chi va a votare alle elezioni, vale a dire il supporre o l’esser certi di partecipare con un voto alla vita e ai progetti di un Paese. Ciò perché la ‘partecipazione’ così come è cantata e auspicata da chi fa della libertà e di un etica civile i presupposti di un sano, giusto e conveniente vivere in comune, oggi è diventata un motivetto per chitarra e mandolino, o tutt’al più una pura metafisica sociale, una chimera, un’araba fenice ancor più incenerita che bruciata, se mai un giorno sia esistita per davvero.

La cosiddetta e auspicata ‘partecipazione’, oggi è sempre più spesso riservata ai giochi a premi, alle lotterie nazionali o, più modestamente, ai tornai di poker all’americana o alle tombole in parrocchia o nelle sezioni di partito. E si ha il bel da dire che si capiscono o non si capiscono i motivi (non quelli musicali) di chi salta in qua e in là negli emicicli di Camera e Senato. Tutt’al più, e dal di fuori, si può assentire oppure dissentire sterilmente contro, oppure a favore di quanto si è imparato da noi stessi a intravedere nelle dimesse o rutilanti manifestazioni della condizione umana, rappresentata più o meno con abile mestiere dai nostri deputati e senatori. Alla fin fine e per venire al sodo, resta il fatto che al di là delle ragioni risibili o sincere di chi fa il salto della quaglia o il cambio delle piume, non si può non arrivare a una conclusione che si spera provvisoria, beninteso. Ossia, che il nostro Parlamento o è lo specchio fedele di ciò che siamo diventati e dunque già eravamo, oppure che nessuno in realtà è più rappresentato (se non nelle furbizie e nei disinvolti slittamenti dall’uno all’altro lato) là dove si discute e si prendono delle decisioni per il bene di tutti, o soltanto di qualcuno. Oppure, ancora, è l’una e l’altra cosa. Basta farsene un’idea stando ai fatti, di cui pure ci vengono fornite le interpretazioni, e guardando in faccia le persone più che prestando orecchio alle parole.

Per gentile concessione de L’Indro

 

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