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Sono tempi duri per le grandi formazioni

IL BIPARTITISMO ARRANCA | di Antonio. Caputo
di Antonio Caputo

Dal susseguirsi dei sondaggi, emerge un quadro di sostanziale stabilità nelle intenzioni di voto, con la presenza di due blocchi principali quasi equivalenti, e un terzo che cerca di affacciarsi con percentuali non certo competitive per la vittoria, anche se, con ogni probabilità determinanti, specie al Senato. Il “Terzo Polo” in pratica si accinge, altro non potendo, a fare da ago della bilancia per le prossime elezioni (in qualunque momento si terranno).
Se la dinamica bipolare non è messa in discussione, lo è, al contrario, l’assetto bipartitico uscito dalle urne nel 2008 La sfida Berlusconi-Veltroni tre anni fa consegnò infatti a PdL e PD un dato superiore al 70%, un livello “europeo”; la media dei sondaggi invece, segnala da diversi mesi le due formazioni in affanno, intorno al 55% circa. Dov’è finito quel 15% in questi tre anni? In parte certamente alle formazioni nate da scissioni dei suddetti partiti: radicali e API, 2-3%, a sinistra; FLI, circa il 4%, a destra. Sia la formazione di Rutelli, sia quella di Fini hanno cambiato coalizione, collocandosi nel Terzo Polo, ma senza riuscire ad intercettare granché dei voti in “libera uscita” dai partiti di Berlusconi e Bersani. Il resto è appannaggio di altre formazioni (IDV, SEL, a sinistra, la Lega a destra), il cui messaggio è più radicale oltrechè (o forse proprio per questo) percepito come più chiaro. In altri termini, della debolezza delle forze maggiori, approfittano i partiti collocati alle estreme, con scarso appeal del nuovo schieramento centrista.

Le cause di tale radicalizzazione possono individuarsi nella crisi economica, tradizionale serbatoio di voti per le forze radicali e populiste, ma anche nella crisi dei partiti maggiori, i quali hanno subìto le scissioni dei “co-fondatori”, e che faticano a trovare efficaci sintesi di linea interna, ancora, nel clima di forte scontro in atto, l’opposto di quel che avvenne nella campagna elettorale di tre anni fa, dai toni quasi “inglesi”. Si aggiunga il voto utile che prosciugò alle politiche il “bacino” delle forze fuori dai due poli (emblematico e insieme drammatico l’esito per la Sinistra Arcobaleno), ma che ora, esaurita la funzione di “prestito”, torna nel suo alveo naturale e last, but not least, gli scandali giudiziari che hanno investito i partiti maggiori, lasciando quasi indenni i medi e piccoli.

Proprio il ricorso al voto utile fece parlare qualche osservatore di finto bipartitismo, anche per le elezioni di 3 anni fa, e non sembra affatto una tesi peregrina. Esaminando infatti i dati, PD e PdL nel 2008 riportarono più o meno i voti del 2006, anno di una sconfitta (per il centrodestra, che certo non può vantare come positivi quei risultati) o di una vittoria assai magra (per il centrosinistra, in cui a deludere fu proprio la lista dell’Ulivo, “madre” del PD) A detta di molti cioè, nel dato del 2008 si poteva cogliere un esito sì bipolare ma non altrettanto nettamente bipartitico, perché, depurando dal voto utile i risultati dei partiti maggiori, ambedue avrebbero riportato delle perdite, rispetto ad una consultazione (le elezioni 2006), per essi già avara di soddisfazioni. In conclusione si può dire che una serie di fattori ha indebolito i partiti maggiori, come usciti dalla competizione del 2008, il cui esito sembrava avviato a dare al nostro Paese la prospettiva dei sistemi partitici europei. Da tale indebolimento sembrano trarne beneficio non tanto le forze che quell’assetto non solo bipartitico, ma anche bipolare intendevano sfidare (i centristi), ma chi, collocandosi saldamente all’interno di uno schema bipolare che non mette certo in discussione (anzi incarnandone le parti a più forte connotazione identitaria), contribuisce però a ridisegnare dall’interno la fisionomia delle coalizioni. Il bipolarismo non è affatto in crisi e, come sempre, e non solo in Italia, i terzi poli son destinati a rimanere terzi A versare in crisi (tutt’altro che passeggera e non solo italiana) è il bipartitismo.

 

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