TUTTO IL RIMORSO DEL NON DETTO
Ci concediamo un lungo fine settimana di silenzio. Nel corso delle ultime settimane abbiamo pubblicato decine e decine di notizie sul referendum di domenica e lunedì, e l’unico cruccio è ora quello di non aver forse affrontato con completezza l’argomento referendum quale istituto di democrazia diretta previsto dalla Costituzione. Pressante è stata l’esigenza di fornire un’informazione il più completa possibile sui quesiti e sulle diverse posizioni che hanno animato il mondo politico e civile, e in questo crediamo d’esser riusciti. Ma l’abbiamo fatto come se il referendum avesse un senso certo e inequivoco, come succede in un normale turno elettorale politico o amministrativo.
Il modo in cui funziona il referendum abrogativo nel nostro ordinamento, però, è talmente assurdo che si allestiscono migliaia di seggi, si spendono milioni e milioni di euro perché tutti possano votare e magari poi si scopre che nessuno ha davvero vinto, perché una minoranza (che non vuol perdere) ha ritenuto di profittare di un’altra minoranza (che semplicemente se ne frega di votare) cui sommarsi per costituire una maggioranza virtuale, che non c’è. A occuparsi a fondo della questione non si fa comunque niente di nuovo: un dibattito sotterraneo, stanco e logoro, per quanto esiliato in salotti uggiosi e seste pagine, insiste e s’occupa pigramente da tempo di questo problema. E dobbiamo ritenere che si tratti di una pigrizia contagiosa, ch’evidentemente ci ha colto di sorpresa, come un colpo di sonno, di quelli che si dicono “della ragione”. Per la verità di questo problema in questi giorni s’è pure parlato su T-Mag, e neanche troppo superficialmente: perché nel totale del prodotto è doveroso includere anche i commenti di tanti lettori che hanno arricchito il dibattito con i loro interventi pubblici o privati. In definitiva, quello che ci mancava era solo di lamentarcene con giusta evidenza. E ora si può dar per fatto.