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Genova, un mese dopo l’apocalisse

di Michela Morizzo

A ripensarci sembra passato un anno, tanto estenuante e faticoso è stato questo periodo iniziato la mattina del 4 novembre con un dubbio amletico: porto a scuola mio figlio oggi o lo tengo a casa? Come mi posso organizzare: nonna, tata. Questa la domanda che molte mamme genovesi, me compresa, si pongono tutte le volte che in città viene data l’allerta per il maltempo.
Non solo la mattina del 4 novembre. Anche se ormai ci si ricorda solo questa: per l’immane tragedia, per gli esseri umani che la furia dell’acqua ha portato via, per i danni elevatissimi alle case, alle attività. Un vero e proprio attacco al cuore di questa città. Una giornata che ci ha fatto sentire, tutti indistintamente, vulnerabili e impotenti di fronte a una natura che si ribella.

Ho visto la disperazione negli occhi delle persone che ho incontrato, le lacrime, la ricerca di una speranza dentro il mio sguardo, di un consolatorio “tutto si sistemerà, tutto tornerà come prima”.

Ho visto le istituzioni “trasformarsi” in esseri umani, segnati così nel profondo da questo evento che hanno vissuto, partecipato, sofferto, portandone il grande peso sulle spalle.
Il peso del rammarico di non aver potuto compiere un miracolo.

Di chi la colpa? Cosa si poteva fare per evitare tutto questo? Quante volte ho sentito queste domande: la colpa è dell’uomo, che per decenni ha depauperato le risorse del territorio permettendo una costruzione indiscriminata e invasiva, che non ha mai preso in adeguata considerazione gli avvertimenti sulle conseguenze disastrose di comportamenti inappropriati sul clima del nostro pianeta.

Discorsi generali, che valgono per tutti – non solo per la Liguria – e sembrano quasi retorica. Eppure le conseguenze le stiamo portando sulla nostra pelle.

Nel frattempo, la gente è tornata a girare per la città e il cammino verso il Natale con le sue luci e i suoi colori simulano un’apparente normalità; già, solo apparente, perché qui ormai nessuno sarà più lo stesso.

Lo si intuisce non appena qualcuno – per strada, in un bar, in un negozio, dal benzinaio, dice: “E’ già passato un mese da quel giorno”. E ancora: “Tu o qualche tuo parente avete avuto grossi danni?” Ed ecco che l’espressione sul volto cambia e inizia il racconto di come ognuno ha vissuto quell’esperienza. Anche chi fortunatamente non ha subito la perdita di un caro o danni materiali, porta dentro di sé le conseguenze di quel giorno.

Ferite profonde e una grande consapevolezza: il 4 novembre è stato il giorno zero.
Uniamoci per rinascere.

 

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