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Oslo-Torino-Firenze: la spirale della violenza

di Marco D'Egidio

Non ha molto senso avvitarsi tra le sfaccettature del termine follia per descrivere il gesto dell’uomo che ha ucciso a Firenze due senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, e ne ha gravemente feriti tre. La cartella medica dell’assassino -chiedersi se fosse un pazzo isolato al seguito dei suoi fantasmi degeneri o non piuttosto il prodotto “meccanico” della lucida, per quanto aberrante, ideologia neofascista, come se le due cose si escludessero giocoforza a vicenda- potrà interessare gli inquirenti, ad esempio per stabilire la premeditazione, ma non deve diventare il centro della nostra discussione. Perché la follia non è necessariamente qualcosa che cova per lungo tempo nel profondo dell’animo umano fino a esplodere all’esterno, ma può anche essere un accesso, individuale o collettivo, uno stato di alterazione indotto dall’ambiente che ci circonda.
L’incendio del campo rom a Torino di qualche giorno fa è stato provocato dagli abitanti di un quartiere gridanti vendetta per uno stupro attribuito agli “zingari” e invece mai commesso, come si è scoperto dopo: un atto di follia collettivo, di persone che alla notizia della violenza non ci hanno più visto, che si sono sentite forti perché in gran numero e tutte accomunate dalla sete di giustizia fai-da-te. Poi può essere stato solo un pugno di mani ad appiccare materialmente il fuoco: ciò che conta è il contesto che lo ha reso possibile, la disposizione della folla improntata al medesimo sentimento di vendetta. Una follia razzista, xenofoba, diversa per la sua manifestazione da quella del killer di Firenze e di Breivik, l’autore delle stragi di Oslo e Utoya, ma sempre una follia. Allora, forse, invece di riservare questa parola a pochi e probabili casi di insania omicida (seppur al fine condivisibile di non sminuire responsabilità più ampie di un ambiente o sub-cultura), conviene farne un uso molto più esteso, perché la follia non è solo nei gesti, ma anche nelle parole, nei modi di pensare, nelle ideologie, nell’intolleranza e nell’indifferenza. In tutto ciò che è violenza e costituisce il contesto in cui la spirale della violenza si autoalimenta. Folle è la rappresentazione di un mondo in cui colui che è altro, diverso, straniero rappresenta un pericolo e per questo è da allontanare, rispedire “a casa”, respingere. Folle è la retorica di chi, semplici cittadini o classe dirigente, alimenta o fomenta in qualsiasi modo la xenofobia illudendosi di non essere violento: perfino un nomignolo ferisce, e può rimbalzare di bocca in bocca fino a diventare un umiliante modo di dire.
Folle è un sistema dell’informazione che contribuisce a creare allarme sociale con un doppio metro, dosando più o meno consapevolmente gli ingredienti dello scandalo sulla base della nazionalità del responsabile. Folle è, non occorre neanche dirlo, l’ideologia neofascista e neonazista. Folle è perfino l’indifferenza, perché rivela che qualcosa di tutta questa carrellata di mostri quotidiani è finita a far parte di quella che noi chiamiamo “normalità”. Tutto questo è violenza, di differente gravità, certo, ma sempre meritevole di essere bollata come una scheggia della “normale” follia dei nostri tempi. E’ il momento di fare di tutta un’erba un fascio, e buttarlo via una volta per sempre.

 

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