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Dall’eliografia alla fotocamera digitale

di Martina Marotta

La fotografia è oggigiorno indispensabile per rendere attimi vissuti ricordi indelebili su carta. Ma per arrivare alla vera e propria macchina digitale che noi tutti possediamo ci sono voluti anni, decenni, secoli di prove ed esperimenti. Basti pensare che la prima persona che si accorse della proiezione che la luce rendeva entrando in un piccolo foro creando un’immagine circolare fu Aristotele. Tuttavia fu solo nel 1700 con Thomas Wedgwood che iniziarono i primi esperimenti per imprimere un’immagine su un oggetto utilizzando il nitrato d’argento: l’immagine però sbiadiva se esposta alla luce solare, e la si poteva guardare solo con la luce di una lampada ad olio o una candela in un ambiente oscuro.
Joseph Nicéphore Niépce nel 1816 riprese come esempio Wedgwood per provare ad imprimere un’immagine attraverso un foglio bagnato di cloruro d’argento ed esposto all’interno di una piccola camera oscura, ottenendo il primo negativo della storia, un’immagine con i colori invertiti. Volendo tuttavia ottenere un positivo, provò ad utilizzare il bitume di Giudea cosparso su una lastra di peltro sovrapponendo un’incisione del cardinale Georges I d’Amboise; il risultato finale potè essere usato per la stampa e Niépce chiamò il procedimento che aveva sperimentato Eliografia.
Nel 1829 Niépce stipulò un contratto per continuare gli esperimenti della sua scoperta con Louis Jacques Mandé Daguerre, ma morì nel 1833 prima di poter pubblicare uno scritto in cui spiegava il procedimento utilizzato; Daguerre modificò quindi il contratto rinominando il processo dagherrotipia, citando Niépce come collaboratore.
Vi furono in seguito diversi esperimenti sull’impressione dell’immagine su materiale, e molti ne furono incuriositi: è infatti da citare il fatto che le prime fotografie furono di grande ispirazione a movimenti artistici quali l’impressionismo, il cubismo e il dadaismo, e Nadar fu il primo artista a rendere le foto vere e proprie opere d’arte.
Tra il 1844 e il 1846 William Fox Talbot, che proseguì gli studi di Daguerre e chiamò i suoi esperimenti col nitrato d’argento e acido gallico Calotipia, pubblicò quello che può essere definito il primo libro fotografico.
Gli esperimenti sulla fotografia si diffusero in breve tempo in tutto il mondo, lanciando una vera e propria moda nell’usare la dagherrotipia per fare ritratti: tutti i ceti sociali potevano usufruirne, in particolare la fotografia veniva usata per fare i ritratti dei bambini morti, per avere un ultimo ricordo custodito dentro a dei piccoli ciondoli, o per carte da visita.
Negli anni a seguire la fotografia divenne lo strumento inseparabile di fotografi e giornalisti; nel 1855 Roger Fenton trasportò in un carro tutto l’occorrente per fare foto sul campo di battaglia, facendo così il primo vero e proprio reportage della storia.
Tuttavia fu solo nel 1888 che fu inventata la prima macchina fotografica portatile, la Kodak n°1, introdotta dall’imprenditore George Eastman in America per 25 dollari al pubblico; dopo qualche anno il materiale fotosensibile all’interno della macchina venne sostituito dalla moderna pellicola fotografica. In seguito, nel 1903, venne inventata la prima single lens reflex, con un secondo obiettivo per l’inquadratura rispetto alle macchine fotografiche prima d’allora senza mirino ed un sistema a pentaprisma e specchio.
Il 1929 fu invece l’anno della Polaroid, la mitica macchina fotografica istantanea ideata da Edwin Land, che ebbe nei successivi anni 70 grande successo: chiunque poteva essere fotografo della propria vita, per immortalare gli attimi di una quotidianità che diventava immortale.
La pellicola a colori entrò in commercio nel 1947 per la prima volta, nonostante già il fisico inglese James Clerk Maxwell dimostrò nel 1859 la mescolanza additiva, cioè che sovrapponendo i colori primari (rosso, verde e blu) si potevano ricreare i colori delle foto.
Gli anni ’80 e ’90 portarono un’evoluzione delle macchine fotografiche con la pellicola, rendendo il risultato finale più realistico e nitido.
Gli studi per una macchina fotografica digitale iniziarono invece nel 1957, quando Russell Kirsch trasformò la foto del figlio in un file attraverso il prototipo di scanner d’immagine, ma è solo nel 1975 che la Kodak produsse un prototipo di fotocamera digitale; per la massa l’entrata in commercio della macchina fotografica digitale fu invece verso la fine degli anni 70. Per giornalisti e reporter il digitale fu un decisivo punto di svolta nell’ambito lavorativo, poiché venne sfruttato per trasmettere le immagini anche in tempo reale via internet.
Con il passare degli anni anche la fotocamera compact digitale ha subito continui miglioramenti, permettendo al fotografo occasionale di interagire direttamente con la macchina per modificare, eliminare o semplicemente controllare le foto direttamente da essa: è ormai comune che il cellulare o lo smartphone abbia la fotocamera, rendendo addirittura marginale portare con sé una macchina fotografica vera e propria.
Così chiunque può fotografare e condividere attimi insieme, basta munirsi di un po’ di immaginazione, gli strumenti per fare sì che le nostre fantasie diventino realtà sono già tutti in nostro possesso.

 

1 Commento per “Dall’eliografia alla fotocamera digitale”

  1. Luigi

    Bell´articolo, non sapevo che la prima reflex risalisse addirittura al 1903, per non parlare della prima portatile addirittura al 1888!! Nella mia ingenuità credevo che le macchine portatili fossero roba relativamente recente, tipo anni 40-50.
    Io da fotografo meno che occasionale mi accontento di una compatta digitale, non ho smartphone ma provando quello di amici mi sono accorto che la qualità delle foto è notevole, molto più di quello che pensavo. Su una cosa però sono ancora della vecchia scuola: preferisco far stampare le foto, scremando quelle non riuscite, piuttosto che lasciarle accumulare in cartelle infinite sull´hard disk. Troppe foto che poi non si va mai a riguardare, un bell´album fotografico invece ti resta per la vita… Sarò troppo romantico?

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