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Acidificazione, una parola da cancellare

di Claudia Carmenati

La tua anima da bella si è innalzata a sublime, cara Fakhra, che la terra ti sia lieve e il viaggio sereno. Il 17 marzo si è suicidata una donna incredibilmente bella, così la voglio ricordare. Non con le immagini scioccanti del suo volto sfigurato, ma con quello sguardo verde, esotico e innocente. La bellezza è un potere mistico, evoca la perfezione del creato, l’incredibile magia dell’intreccio dei geni, con una lettura scientifica, o la tensione verso il sovrumano, l’aspirazione verso qualcosa al di là dei confini razionali, per dirla come i filosofi.
Di fronte alla bellezza l’uomo prova un senso di smarrimento e frustrazione, dice Kant, per poi prendere coscienza, proprio vivendo l’esperienza del sublime, della sua superiorità in quanto unico essere del creato capace di un agire morale. Eppure questa stessa bellezza può essere una condanna a morte, questa stessa bellezza ispira non quel moto di crescita morale ma suscita istinti omicidi, violenza illegittima e ingiustificabile. Questa è la storia di Fakhra Younas, una donna straordinaria vittima di una barbarie non degna di questo secolo: l’acidificazione.
Fakhra Younas è ancora una bambina, come racconta nel suo toccante e crudo libro autobiografico Il volto cancellato, quando divide le sue notti con uomini molto più vecchi di lei, per sostentare una famiglia disastrata, una madre ed un fratello tossicodipendenti e una condizione di vita miserabile in un Pakistan di polvere e povertà. Partorisce il suo unico figlio a 15 anni. Si sposa appena diciassettenne con un uomo importante, un uomo con cui divide finalmente corpo, cuore e anima. E’ felice, come solo una giovane donna innamorata sa essere. Parla di passeggiate mano nella mano, di un compagno affettuoso, di una passione che stravolge i sensi. Ma la vita matrimoniale presto si trasforma in un incubo, il marito funestato dalla gelosia, la perseguita. La fuga, il divorzio, l’unico modo per tornare a vivere. Una scelta fatale. E dopo solo camici, ospedali, specchi rotti. Il marito di Fakhra Younas ha passato sei mesi in carcere per il suo gesto, lei ci ha convissuto fino al suicidio.
Uccidere la bellezza è un crimine. L’acidificazione si può equiparare all’omicidio. Non è solo perdere la propria bellezza, anche se la bellezza fa parte dell’anima di una donna bella. Viene ucciso lo sguardo con cui vede il mondo, muore la capacità di rendere più bello lo spazio che occupa la sua presenza. In tanti, troppi paesi la violenza sulle donne è una pratica poco perseguitata dalla legge, dallo stato di diritto, dal buon senso. L’acidificazione è una pratica inaccettabile, di una violenza inaudita e codarda. Perché il marito di Fakhra Younas è scappato, davanti alla mostruosità del suo stesso gesto. Omicidio, mancato soccorso, premeditazione. Quel processo, in omaggio alla tua dignità, sarebbe da rifare. Ed è quello che questa città, che ha avuto l’onore di ospitarti, dovrebbe pretendere.
Sei nata lontano eppure proprio qui a Roma il tuo ultimo passo. Davvero speravo che la città eterna di donasse serenità, invece alla fine la sofferenza che avevi nel cuore non ti ha dato tregua. Almeno un po’ di giustizia te la dobbiamo. Oggi è tutto un po’ meno bello senza di te, requiescat in pace.

 

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