Web e politica, binomio imperfetto
Chi ha tentato di anticipare le possibili innovazioni “della più grossa novità della politica italiana” annunciata giorni fa da Angelino Alfano, ha raccontato della volontà di costruire un Pdl, o qualsiasi cosa sarà, in stile 2.0 emulando così il modello Obama, ormai buono per ogni occasione se c’è da parlare di politica ed internet. Alfiere di tale rinnovamento tecnologico, poiché anche nel centrodestra è finalmente chiaro come la Rete sia fondamentale nei moderni processi comunicativi, sarebbe il parlamentare Antonio Palmieri, già impegnato nella comunicazione online del Pdl.
Ora, a vederla in questo modo, equivarrebbe da parte degli stessi attori politici ammettere un certo ritardo sul campo delle nuove tecnologie. Reso sempre più evidente, peraltro, dagli studi di settore. Altro che modello Obama, insomma. Quello fu valido oltreoceano già nel 2008 mentre in Italia, nel 2012, siamo ancora lontani anni luce.
A tale proposito ci corre in aiuto una recente pubblicazione di Sara Bentivegna, professoressa di Comunicazione politica all’Università La Sapienza, Parlamento 2.0 (Franco Angeli, 2012). Ciò che emerge dallo studio di Bentivegna (già autrice di Campagne elettorali in Rete, Laterza, 2006) è un quadro sconcertante di come i politici utilizzino gli spazi online, non solo per la scarsa presenza, ma anche per la qualità dei contenuti. La maggior parte di loro apre un sito o un blog a ridosso delle elezioni per poi sparire una volta esaurito il compito di auto-celebrarsi. Tanto per rendere l’idea: solo il 25% dei nostri politici ha un sito internet contro l’81% di quelli di altri Paesi. E anche sui social network, luoghi in cui l’interazione con i potenziali elettori dovrebbe risultare più semplice, solo il 21% dei parlamentari italiani fa sentire la propria voce quando nel Regno Unito sono il 49% e negli Stati Uniti il 70%. Ad ogni modo Facebook è la piattaforma più utilizzata (35,6% del campione), ma almeno il 44,5% dei parlamentari italiani è totalmente sconnesso. In senso letterale, è il caso di dire.
Sarebbe opportuno, tuttavia, non cadere in errore e credere che questi ritardi appartengano ai singoli. Gli stessi partiti hanno un rapporto controverso con la Rete. Sia beninteso, tanto Pd e Pdl (più il primo che il secondo per ovvie ragioni) hanno cercato in questi anni di sviluppare piattaforme all’avanguardia. Con scarsi risultati, però. E in aggiunta, a corroborare la tesi del binomio imperfetto tra politica e internet, ci sarebbero anche le ultime analisi dell’Istituto Cattaneo, commissionate da Sky.it.
In vista delle imminenti amministrative, infatti, su 84 candidati a sindaco la presenza su internet è composta di sole 13 personalità che frequentano cinque piattaforme, mentre più di un terzo (29) è attivo su un’unica piattaforma se non addirittura assente dal web. Sembra passata una vita da quando ci si lambiccò, appena un anno fa, sulle vittorie “online” di Pisapia e De Magistris alle precedenti amministrative o sulla imponente mobilitazione referendaria. Ma è evidente di quanto il successo in termini di consensi seguì la partecipazione dal basso dei cittadini, che su Facebook e su Twitter trovarono un canale di interazione privilegiato, e non certo per esclusivo merito dei candidati. Segno inequivocabile, inoltre, di come i processi comunicativi e politologici siano strettamente collegati tra loro e non compartimenti stagni. La sfiducia rilevata in queste settimane si fa sentire anche online, a quanto pare. E in un contesto simile non c’è uomo politico che riesca davvero a scaldare i cuori degli internauti.
Senza scomodare il solito Obama, basti pensare che lo staff di Nicolas Sarkozy alla vigilia del primo turno delle presidenziali francesi e ancor di più adesso che è in programma il ballottaggio con Francois Hollande, sta utilizzando molto (e bene) piattaforme innovative pensate appositamente per i dispositivi mobile quali Instagram, entrata pochi giorni fa nell’orbita di Facebook (sì, anche Obama è su Instagram, of course).
E da noi? Da noi stiamo appena iniziando a riflettere su come dovrà essere il partito del futuro, il partito 2.0. Meglio che non cominciare mai, si intende, ma dati i presupposti hai voglia a lavorare. E ad accumulare ritardo.