Speciale Cannes. Si chiude un anno positivo del nostro cinema
Giampiero Francesca
Mentre salutiamo la croiesette, già piena di ricchi turisti in costume da bagno, ripensiamo a questa sessantacinquesima edizione del festival di Cannes. Le nostre previsioni (piuttosto scontate) sulle palme si sono dimostrate esatte. Il più prestigiosi dei riconoscimenti è andato, come atteso, a Amour Michael Haneke. La pellicola del regista tedesco era indiscutibilmente la più intensa ed interessante vista in queste due settimane di concorso e i volti di Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva resteranno fra i ricordi più toccanti dell’intera manifestazione. Gloria anche per Cristian Mungiu il cui Beyond the Hills ha ottenuto i riconoscimenti per la miglior sceneggiatura e le migliori interpretazioni femminili, Cosmina Stratan e Cristina Flutur. Due premi che non diminuiscono le nostre perplessità su un’opera dai ritmi troppo lenti e compassati. La miglior interpretazione maschile è andata invece, a sorpresa (o forse a parziale risarcimento per un mancato premio maggiore) a Mads Mikkelsen per The Hunt di Thomas Vinterberg.
Fra i verdetti che invece ci trovano assolutamente concordi non possiamo non citare i due premi della giuria, il Gran Prix assegnato al nostro Matteo Garrone e Premio speciale vinto da Angels’ Share di Ken Loach. Se il secondo appare un gradito riconoscimento ad un maestro del cinema inglese, il premio a Reality conferma Garrone come uno dei registi più apprezzati sulla croiesette. Già Gomorra infatti si era aggiudicato, nel 2008, questa “medaglia d’argento” del festival. Reality, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, non verrà ricordato come l’opera migliore del regista romano ma i suoi quindici minuti iniziali sono probabilmente valsi da soli questo prestigioso riconoscimento. Incompressibile (e fischiato in sala al momento dell’annuncio) appare invece il premio per la miglior regia al messicano Post tenebras lux. Titolo letteralmente stroncato dalla critica (esemplare il nostro Mereghetti sulle pagine del Corriere della Sera che stigmatizza il film: “con un “orgoglio” e una “supponenza” che escludono di dover dialogare col pubblico e chiedono solo di essere prese o lasciate. Io personalmente, lascio volentieri.”), deriso dal pubblico in sala, e incompreso praticamente da tutti, il film di Carlos Reygadas ha invece evidentemente convinto Nanni Moretti e la sua giuria.
Dopo tanti giorni passati nella sala Debussy, seguendo Un Certain reguard, siamo contenti di veder ricevere il premio alla migliore opera prima, La Camera d’or, proprio ad un film di questa sezione, Beasts of the Southern Wild. La pellicola di Benh Zeitlin è probabilmente (insieme a Gimme the loot di Adam Leon) la vera sorpresa di questo festival. Tim Roth, presidente della giuria di Un Certain reguard, ha invece scelto di premiare all’interno della sezione Después de Lucia di Michel Franco, sulla quale noi (per bontà d’animo) preferiamo tacere.
Mentre scriviamo la sala stampa del palais du cinema si sta svuotando, il maches ha già chiuso i battenti e gli operai hanno iniziano a smantellare la grande foto di Marilyn. Con Cannes si chiude un anno decisamente positivo del nostro cinema, dai grandi incassi delle commedie ai riconoscimenti internazionali (i fratelli Taviani, prima di Garrone, avevano trionfato al festival di Berlino). Spiace solo, mentre anche noi ci accingiamo a lasciare la Francia, dover pensare di tornare alle beghe di casa nostra, ai litigi fra direttori di festival, alla querelle fra Roma, Venezia e Torino, ai piccoli boicottaggi e ripicche. In questo forse dovremmo imparare proprio da loro, dai francesi, perché per fare, ogni anno, un festival come quello di Cannes tutte le forze devono remare dalla stessa parte.