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Il vertice europeo porta consensi

di Carlo Buttaroni

Questa volta la buona notizia che arriva dai mercati è che la politica può vincere la crisi. E’ solo l’inizio, un piccolo passo, ma i segnali sono evidenti. L’intesa del Consiglio europeo sul fondo per calmierare lo spread, infatti, ha avuto immediate ripercussioni positive: è sceso il differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi e i mercati hanno ripreso fiducia, facendo registrare risultati positivi in quasi tutte le borse del mondo. Sono soprattutto i mercati europei a rafforzarsi: Milano, Parigi, Francoforte, Madrid, Atene hanno fatto registrare risultati talmente positivi che bisogna andare indietro di almeno due anni per trovare delle sedute analoghe. A quando, cioè, fu annunciata l’istituzione del Fondo salva-Stati. Anche negli Stati Uniti la notizia dell’accordo fa chiudere i mercati all’insegna del positivo e persino Tokio, nonostante la netta flessione della produzione industriale, vive le conseguenze positive dell’accordo europeo cambiando il segno all’andamento della borsa, registrato fino a poche ore prima.
Il risultato del vertice rende politicamente più forte Barack Obama il quale, dopo aver incassato la sentenza della Corte suprema che rende esecutiva la riforma del sistema sanitario varato nel 2010, segna un altro punto a suo favore in vista delle prossime elezioni presidenziali. L’accordo raggiunto dai leader del vecchio continente, infatti, dà ragione alle pressioni del Presidente Usa rendendo, nelle previsioni, più forte e veloce la ripresa americana. Anche in questo caso, i segnali non si sono fatti attendere, visto che il tasso di cambio euro-dollaro è subito cresciuto di 2 punti base.
Ma a Bruxelles succede di più: la politica sembra disegnare nuovi equilibri. Terminata la “liason politica” Sarkozy-Merkel, a causa della mancata rielezione del primo, nuove e più ampie convergenze si stanno concretizzando e tra i promotori troviamo proprio l’Italia, la Spagna e la nuova Francia di Hollande.
Mario Monti è stato giustamente indicato come il protagonista del vertice. Aveva le idee chiare e ha posto fin da subito le condizioni che hanno evitato l’ennesima risposta palliativa alla crisi. Il Premier italiano ha indubbiamente portato a casa i risultati che si era ripromesso e non è certo un caso che i mercati italiani siano stati quelli che hanno fatto registrare le performance migliori. Un indirizzo – quello dato da Monti – rispetto al quale Spagna e Francia non potevano che dare il loro avvallo. Ed è proprio il nuovo corso di Hollande a spingere gli eventi in questa direzione, gettando il seme di un’Europa meno tecnica e più politica.
E’ questa la vera grande svolta che arriva da Bruxelles: dopo averci spiegato che la politica deve guardare i mercati, abbiamo scoperto che i mercati guardano la politica. E che il corso degli eventi può essere governato. Il primato di questo passaggio è nell’essere la prova tangibile di come una presa di posizione chiara, decisa, ma ponderata può portare a una soluzione per il bene dell’Europa nel suo complesso. Unità, quindi, in cui il confine tra il governo della finanza e il governo della politica è stato unito dal filo conduttore della ragionevolezza e del bene comune.
Il risultato del vertice di Bruxelles nasce però qualche mese prima, con l’elezione di Hollande. Le elezioni presidenziali avevano assunto un significato che andava oltre i confini della Francia nel momento in cui Francois Hollande aveva denunciato con forza i limiti, i ritardi e i problemi dell’Europa diretta dall’asse Merkel-Sarkozy. Da quel momento, lo scenario del confronto tra Sarkozy e il suo sfidante è stata l’Europa. O meglio, l’Europa politica, dove possono trovare risposta anche le aspettative e le speranze dei francesi. Ma solo a determinate condizioni. Per Francois Hollande, si può sconfiggere la crisi solo se la politica europea è in grado di agire sulla stabilità dell’Euro, ma non da sola, bensì intervenendo anche sulla qualità dello sviluppo, rimettendo in equilibrio crescita, solidarietà e coesione sociale. Per il Presidente francese, la linea del rigore fiscale e i tagli alla spesa pubblica in nome dell’equilibrio di bilancio sono inefficaci e rischiano di spingere l’Europa ancora più in recessione. Questo perché l’austerità, se non è accompagnata da un deciso progetto di crescita volto a sostenere l’economia e l’occupazione, diventa un’arma a doppio taglio che rischia di aggravare la crisi anziché risolverla. Facendosi portatore di queste idee, Hollande ha vinto le elezioni e, fin dal primo giorno, ha fatto capire che la Francia avrebbe voltato pagina. Il vertice europeo è stata la prima occasione utile per imprimere questa svolta, cercando alleati nei Paesi più vicini dal punto di vista economico, Italia e Spagna appunto, e forzando la partita fino alla rottura dell’asse franco-tedesco. Da Francois Hollande è giunta anche la spinta ad andare oltre i risultati del vertice, con l’obiettivo di arrivare all’unione fiscale e a un ministero del Tesoro comune che emetta debito e lo mutualizzi, realizzando così una vera politica economica europea. Obiettivi che riecheggiano nelle parole del presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, quando dice che in due giorni sono state prese decisioni impensabili solo fino a pochi mesi fa. Ed è indicativo come anche il quotidiano tedesco Spiegel online abbia parlato del vertice europeo come di un punto di svolta nei libri di storia sulla crisi, facendo riferimento più volte all’arretramento della Merkel di fronte all’incalzare delle posizioni di Italia, Spagna e Francia. Paesi, questi, che così raddoppiano il successo facendo oltretutto retrocedere la Germania dalla sua posizione iniziale rispetto alla possibilità di accesso al fondo di salvataggio, subordinato ai pareri della troika Ue-Bce-Fmi. Finora, erano i tecnici a decidere sugli aiuti da concedere a uno Stato in base alla sua “virtuosità” economica e alla capacità di rimborso. D’ora in poi non sarà più così e, dopo l’esperienza greca, la parola tornerà alla politica.
E questa è la vera buona notizia. Perché a rendere più acuta la crisi è stata proprio l’assenza di una politica europea che favorisse la crescita e l’occupazione, il dialogo sociale e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e sanzioni. Con la crisi, si è trascurata la democrazia e si sono voltate le spalle allo stesso progetto europeo.
In questa delicata partita di equilibri e visioni che si è aperta a Bruxelles, l’Italia era di mano. E Monti ha giocato bene le sue carte. Colpisce, semmai, che la partita più politica abbia visto come protagonista italiano un “tecnico”, seppur di alto livello come Mario Monti. Il Premier, tra l’altro, ha esibito un colpo di gran classe e di raffinata sapienza comunicativa e politica, dichiarando che l’Italia non intende comunque avvalersi dello scudo anti-spread, smorzando sul nascere qualsiasi accenno riguardante presunti interessi specifici e conseguenti conflitti d’interesse del Paese. Nello stile, la distanza con il suo predecessore non potrebbe essere più ampia. E forse è anche per questo che la maggioranza relativa degli italiani continua a esprimere un giudizio positivo sul governo Monti, anche se la fiducia è in calo rispetto ai primi mesi del suo insediamento a Palazzo Chigi.
Il vertice di Bruxelles segna comunque il primo passaggio di un percorso, dove la politica sembra essere tornata protagonista delle scelte e intenzionata a determinare gli indirizzi di politica economica. Una buona partenza che adesso, però, occorre riempire di contenuti e coerenza con quanto sinora annunciato. E’ questo che serve anche all’Italia. Il Paese ha bisogno di avviare un nuovo corso, perché la crisi non è più solo congiunturale, ma sembra diventare sistemica nel momento in cui coinvolge, oltre all’ambito economico, la dimensione sociale, l’esercizio democratico e la sfera della legalità.
Secondo uno studio della CGIA, le sofferenze bancarie delle imprese italiane hanno superato quest’anno gli 82 miliardi di euro, le insolvenze sono aumentate dell’11,9%, mentre l’erogazione dei prestiti ha continuato a scendere (-1,7%). Sono invece aumentate le segnalazioni di sospetto riciclaggio, legate a operazioni d’intermediazione finanziaria (+243,6%). Sul fronte lavoro, l’Istat registra un tasso di disoccupazione pari al 10,2%, con un incremento del 2,2% su base annua e con punte che arrivano al 37% tra i giovani. Ma anche per chi ha già un lavoro, la situazione non è delle migliori: tra i lavoratori dipendenti, il potere reale d’acquisto diminuisce mentre il costo del carrello della spesa, cioè dei beni di prima necessità, cresce e sempre più famiglie vengono trascinate sotto la soglia di povertà.
Si possono avviare le riforme del mercato del lavoro, alzare o abbassare i tassi d’interesse, aumentare o diminuire l’iva, immettere nuove tasse, istituzionalizzare l’equilibrio di bilancio, ma fino a quando non si deciderà d’investire su uno sviluppo di qualità sarà difficile uscire dalla crisi. Serve un cambio di visione. E il coraggio di perseguire strade nuove perché l’asprezza della crisi merita risposte forti in termini di rilancio di politiche attive per il lavoro, di difesa e valorizzazione del patrimonio industriale, di rafforzamento del sistema di welfare. Le ricette sinora diffuse non solo non possono curare gli effetti della crisi, ma semmai rischiano di aggravarla, così come ha denunciato Hollande, affermando che è possibile uscire dal deterioramento economico e sociale percorrendo un cammino di riforme, fondato sul riconoscimento del valore del lavoro e dell’impresa, del welfare, del sapere e della giustizia sociale. Se questa ricetta vale in Francia e sembra affermarsi anche in Europa, perché in Italia non dovrebbe avere effetto?
C’è bisogno di ridare fiducia alle imprese attraverso investimenti che consentano di produrre meglio, riducendo gli sprechi e aumentando l’efficienza con cui si usano le materie prime, a cominciare dall’energia. C’è bisogno di “piani casa” che puntino a recuperare costruendo sul costruito, migliorando l’efficienza energetica, anziché realizzare edifici ex novo. C’è bisogno di più infrastrutture sociali, più scuole, più trasporti pubblici; di alimentare un’economia di prossimità e di filiere corte, spostando il peso degli equilibri economici dal mondo della produzione a quello del lavoro. Occorre assumere la salvaguardia e la qualificazione del sistema di Welfare come fattore di sviluppo e indicatore di qualità dello stesso, ridisegnando un ruolo attivo delle politiche pubbliche nel governo dell’economia.
Questa sembra la strada tracciata in Europa dopo le elezioni francesi. Un nuovo assetto che ha segnato la sconfitta del rigore “tecnico”, quando non è accompagnato da adeguate politiche per uno sviluppo di qualità. Al successo del nuovo corso europeo ha contribuito, in maniera decisiva, anche l’Italia. Ora c’è da attendersi che anche nel nostro Paese siano introdotte quelle novità che sembrano annunciarsi nella nuova Europa nata da Bruxelles. Basta sterili profezie e benvenuto il cambio di mentalità. Grosso modo, l’auspicio dello stesso Monti all’indomani del vertice europeo. Speriamo sia così perché, oltre l’Europa, ne uscirebbe rafforzata anche l’Italia.

Questo articolo è stato pubblicato su l’Unità del 2 luglio. Sfoglia l’indagine Tecnè in Pdf.

 

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