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I posti al mondo dove si vive peggio

di Matteo Buttaroni

Freedom House, organizzazione non governativa statunitense, ha stilato il rapporto sui paesi del mondo e sullo stato di libertà in cui vivono i propri cittadini. Si tratta di uno studio che viene redatto ogni anno e dal rapporto (che fa riferimento al 2011) emerge quali sono i Paesi in cui la libertà sembra essere “tabù”.
Ad esempio il rapporto include l’Arabia Saudita, unica nazione araba dove non sono mai state svolte elezioni politiche per la successione al trono, tuttora retto da Re Abdullah e dove è vietata ogni forma o creazione di partito politico. Le leggi dell’Arabia Saudita sono unicamente basate sul Corano e sulla Sunna. Di recente le autorità hanno imposto nuove restrizioni sulla libertà di parola.
Anche la Corea del Nord figura nell’elenco stilato da Freedom House. A quanto pare la morte del Caro leader, il dittatore Kim Jong-Il, avvenuta il 17 dicembre dello scorso anno e il relativo passaggio al trono del figlio Kim Jong-Un, non hanno portato sostanziali cambianti nel paese che continua ad essere una delle zone più repressive. Nel rapporto figura poi l’Eritrea, dove il presidente Isaias Afewerki, in carica dal 1993 al 2001, ha imposto la chiusura di tutti i giornali non contrallati dallo Stato.
Il paese peggiore per quanto riguarda la tutela dei diritti umani è invece la Guinea Equatoriale. Tutti i mezzi di comunicazione sono controllati dal governo, guidato dal presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, in carica dal 1979.
Ancora nel rapporto si trova la regione del Sahara Occidentale: secondo Freedom House le popolazioni di questa regione non hanno la libertà di riunirsi in gruppi ed hanno forti limiti per quanto riguarda l’iniziativa privata e i diritti alla proprietà.
A seguito della forte repressione guidata dal presidente Bashar al Assad ai danni dei ribelli la Siria si è guadagnata uno tra i primi posti nella classifica delle peggiori nazioni. Da anni Assad reprime e tortura ogni forma di opposizione al regime che limita le forme di comunicazione e impedisce al popolo di spostarsi liberamente all’interno e all’esterno del Paese. Dall’inizio della repressione delle proteste, nel 2011, ad oggi il bilancio dei morti per mano del regime si aggira intorno alle ventimila persone.
Altra situazione particolare è quella riguardante la Somalia. Un paese africano dove non esiste un governo centrale, o meglio esiste ma non riesce a controllare l’intero paese tantomeno a garantire i diritti ai propri cittadini. Alcune zone sono infatti controllate autonomamente da poteri basati su rapporti di fedeltà tra diversi clan.
Anche il territorio del Tibet compare nel rapporto di Freedom House per il forte controllo che ha la Cina sugli abitanti della zona. Secondo le stime sono circa 800 le persone agli arresti nelle carceri cinesi per motivi politici o religiosi.
Dopo il Tibet troviamo il Turkmenistan, governato dall’unico partito legalmente riconosciuto, il Partito democratico guidato da Gurbanguly Berdimuhamedow, succeduto a Saparmurat Niyazov. Un uomo che, addirittura, impose nuovi nomi ai mesi del calendario, sostituendoli con i nomi della sua famiglia oltre che a far costruire moltissime statue che lo raffiguravano.
Nel paese il potere ha il pieno controllo dei mezzi di comunicazione e il popolo non ha diritto a spostarsi liberamente.
Particolare attenzione viene rivolta infine all’Uzbekistan, dove gli unici quattro partiti riconosciuti sono tutti sostenitori del governo guidato da Islam Karimov, accusato di repreprimere le opposizioni attraverso la tortura e limitazioni alla libertà.
Nel rapporto c’è un breve accenno anche all’Italia, in cui si spiega che è stato rilevato un miglioramento delle libertà civili grazie alla minore concentrazione di mezzi di comunicazione pubblici e privati dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi a novembre dello scorso anno.

 

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