La collezione del maestro Molinari Pradelli (1911-1996) | T-Mag | il magazine di Tecnè

La collezione del maestro Molinari Pradelli (1911-1996)

di Stefano Di Rienzo

Attualmente presso la prestigiosa sede di Palazzo Fava a Bologna si sta svolgendo una mostra dal titolo “Quadri di un’esposizione” (dal 20 giugno 2012 al 7 ottobre 2012). La mostra curata da Angelo Mazza con i contributi di Andrea Emiliani, Luigi Ficacci, Mina Gregori, è stata organizzata in occasione del centenario della nascita del maestro Francesco Molinari Pradelli (1911-1996), direttore d’orchestra di fama internazionale e collezionista di pittura italiana del Seicento e del Settecento. La passione per la pittura barocca gli era nata negli anni Cinquanta quando decise di liberarsi dei quadri ottocenteschi che decoravano la sua villa a Marano di Castenaso, in provincia di Bologna, per avventurasi nel panorama ancora poco esplorato della pittura del Seicento e delle sue naturali propaggini settecentesche. La sua era una passione sincera, non lo interessava il prestigio sociale né tanto meno l’investimento economico, infatti la raccolta ben presto vincolata almeno nel suo nucleo principale, negli anni è andata sempre arricchendosi di acquisizioni (fino a circa a duecento pezzi), senza eccessi né nomi di richiamo. Sebbene si possano elencare alcune presenze importanti (su tutti Sebastiano Ricci, Guido Cagnacci, Luca Giordano) la maggior parte degli artisti raccolti erano all’epoca sconosciuti al grande pubblico e marginalizzati anche dagli stessi storici dell’arte. Negli acquisti da antiquari e gallerie di fiducia, compiuti approfittando delle tappe dei tour internazionali, il maestro si faceva guidare essenzialmente dal piacere estetico per la pittura ed i suoi aspetti più manuali: per la pennellata sensuale dei dipinti barocchi, per la consistenza materica delle nature morte e l’esecuzione sintetica dei bozzetti. In questa maniera, riportò in Italia numerose opere importanti andate disperse nel corso della travagliata storia del nostro Paese, sollecitando i riconoscimenti dei quadri e lo studio delle personalità artistiche citate dalle fonti secentesche ma non ancora ricostruite, come quelle dei pittori di nature morte Luca Forte e Pietro Navarra
La fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e la Soprintendenza per i Beni Artistici ed Etnoantropologici di Bologna per questa occasione organizza nella sua città natale una mostra di dipinti barocchi.
Non è la prima volta che la collezione Molinari Pradelli viene presentata al grande pubblico, il maestro ha sempre generosamente prestato i suoi pezzi per numerose mostre. La prima occasione risale al 1984, sempre a Bologna, quando il collezionista era ancora vivo e poté partecipare con orgoglio all’esposizione di un centinaio di dipinti e alla stesura di un buon catalogo, entrambe curate da Carlo Volpe. Una dozzina di anni dopo, Mantova ospitò invece la raccolta intera, e alle schede degli allievi di Volpe si aggiunsero quelle che ancora mancavano.
La raccolta Molinari Pradelli e infatti la più significativa nell’area bolognese non solo per la consistenza di opere e per la loro qualità ben selezionata, ma per l’impronta che il gusto raffinato del maestro ha saputo imprimerle, mettendo a frutto le fortunate occasioni nei numerosi viaggi e nelle relazioni internazionali che il successo della professione gli offriva.
Angelo Mazza, curatore della mostra e del catalogo ha selezionato circa 90 dipinti che esprimono la peculiarità della raccolta e saranno esposti suddivisi in 4 sezioni:
Natura morta con un’ampia sezione che comprende le prime due sale e si compone di 27 dipinti tra i quali spiccano le tele di scuola napoletana di Giuseppe Recco, Giuseppe Ruoppolo, Baldassare De Caro e “La Natura Morta” di Luca Forte (1640) firmata con un ricciolo del tralcio di vite; scuola romana (Pietro Navarra e Mario dei Fiori); emiliana e marchigiana (tra cui Bartolomeo Arbotori di cui si ammira “Il Tacchino Spennato”).
Nella terza e nella quarta sala è presente la pittura emiliana, la più nutrita all’interno della mostra si compone di 33 dipinti tra i quali opere dello Scarsellino “Sacra Famiglia con S. Giovannino” (XVI-XVII sec) e “Lo Sposalizio Mistico di S. Caterina con Santi” (1595) di Pietro Faccini. Il vero fulcro della sala e la celeberrima opera di Guido Cagnacci “Il Ratto di Europa” (1650 circa) con il toro inghirlandato di fiori e la superficie pittorica così smaltata e lucente: uno dei pezzi forti della collezione esposto per la prima volta a Bologna nel 1984. La quarta sala e invece dedicata interamente ai dipinti dei fratelli Gandolfi Ubaldo e Gaetano protagonisti a Bologna nella seconda metà del Settecento. In cui si segnala in particolare il dipinto di Gaetano “Giudizio di Paride” (1768).
La Pittura Veneta si compone di 11 dipinti tra i quali spiccano quelli di Palma il Giovane, Sebastiano Ricci, Giovan Battista Pittoni. L’interesse di Molinari Pradelli per la pittura veneta era vivificato dall’amicizia con lo storico dell’arte Rodolfo Pallucchini che a lungo soggiornò anche in Emilia. Una conoscenza questa che spiega la pubblicazione sulla rivista “Arte Veneta” e nei volumi dello studioso di diverse opere riportate in Italia dal direttore d’orchestra, che rendeva partecipe l’amico dei suoi nuovi acquisti, come dimostra il fitto scambio epistolare.
Il pezzo forte della sala è “Una Sacra Famiglia” (XVIII sec.) di Sebastiano Ricci che il maestro Molinari Pradelli ebbe occasione di definire “il quadro più amato per la nobiltà dell’impaginazione unita alla morbidezza del ductus pittorico e all’invenzione cromatica sobria e intensissima”, portato da New York in Italia nel 1969 e subito esposto nella mostra veneziana “Dal Ricci al Tiepolo”
La Pittura Napoletana si compone di 16 dipinti tra cui spiccano quelli di Agostino Beltrano, Micco Spadaro, Giovan Battista Rossi al quale “L’Adorazione dei Pastori” (1671) dai preziosi effetti luministici fu attribuita da Spinoza o Lorenzo De Caro le cui piccole tele “Trionfo di Giuditta” e la “Conversione di S. Paolo” declinano il soggetto religioso in un brillante stile rocaille. La conoscenza della pittura sei-settecentesca napoletana fu stimolata dalle visite alla città del maestro Molinari Pradelli dove si recava per i suoi concerti al Teatro S. Carlo.
Inoltre ogni sala e dotata di uno schermo touch screen nel quale si possono osservare dettagli ad altissima risoluzione degli affreschi dei Carracci e dai loro allievi, e leggere notizie sul ciclo pittorico commissionato dal conte Filippo Fava alla fine del Cinquecento.
Nel piano superiore le ultime due sale celebrano la figura del maestro Molinari Pradelli ricordato attraverso fotografie, locandine dei suoi concerti, le riviste che avevano parlato della preziosa collezione, ed un video in bianco e nero nel quale lo vediamo sul podio che si affida sicuro alla sua bacchetta di direttore, in altri contesti si affidava al suo occhio di conoscitore e amatore d’arte.
A Palazzo Fava il nucleo centrale della natura morta sarà esposto nel grande salone sotto il fregio dei giovani Carracci datato 1584 che svolge il tema della conquista del vello d’oro da parte di Giasone con l’aiuto determinante di Medea. I gruppi dei dipinti veneti, emiliani, napoletani saranno distribuiti nelle altre sale del nobile palazzo sotto i fregi di Ludovico Carracci di Bartolomeo Cesi e di Francesco Albani e infine nella saletta affrescata dagli allievi di Ludovico Carracci.
L’esposizione da un lato offre l’opportunità al vasto pubblico di apprezzare una serie di capolavori da lungo tempo nascosti, dall’altro si propone di celebrare la figura del noto direttore d’orchestra ricordandone la passione collezionistica nel tentativo di ricostruire le dinamiche delle sue relazioni con gli storici dell’arte nei decenni del Dopoguerra.

 

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