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La drammatica situazione del Sud

Nel Rapporto Svimez sulla situazione economica del Mezzogiorno nel 2011, presentato mercoledì, si evidenzia come il Sud sia sempre più a rischio desertificazione industriale. I consumi non crescono oramai da quattro anni e meno di una giovane donna su quattro non lavora. Insomma, c’è il pericolo di segregazione occupazionale. C’è da fare una precisazione, infatti, a tale proposito: quando si parla di disoccupazione, soprattutto nelle componenti femminile e giovanile, non si può non tenere conto dei ritardi strutturali del Mezzogiorno.
Il Meridione, afferma ancora la Svimez, è anche quel posto dove nel 2011, al contrario della crescita dello 0,6% registrata nel Centro-Nord, il Pil è aumentato solo dello 0,1%. “Non va meglio nel medio periodo – spiega il Rapporto -. Negli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2011, il Mezzogiorno è rimasto inchiodato allo 0%, rispetto al +0,4% del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. Marche e Lazio sono state le regioni a crescere di più negli ultimi dieci anni, rispettivamente del +0,6% e del +1,1%, mentre fanalini di coda sono state Piemonte (0% medio annuo) e Umbria (0,1%).
In altri termini, in cinque anni, dal 2007 al 2012, il Pil del Mezzogiorno è crollato del 10%, tornando ai livelli di quindici anni fa, del 1997. A livello regionale, l’area che nel 2011 ha trainato il Paese è stata il Nord-Est (+1%), seguita dal Nord-Ovest (+0,6%). Il Centro è stato fermo come il Sud a +0,1%. In particolare, la forbice oscilla tra il boom della Basilicata (+2%) e la flessione del Molise (-1,1%), che accusa particolarmente la crisi del tessile e dell’abbigliamento. Dopo la Basilicata, che si conquista la palma nazionale di regione virtuosa nella crescita, all’interno del Mezzogiorno, la crescita più alta spetta all’Abruzzo (+1,8%), che consolida e conferma l’incremento dell’anno precedente (+1,7%). Segni positivi anche in Sardegna (+0,9%) e Puglia (+0,5%). In calo invece la Calabria (-0,7%), la Campania (-0,6%), e la Sicilia (-0,2%)”.
Nel 2011 i consumi anche alimentari delle famiglie del Mezzogiorno sono scesi del 4,5%, mentre al Centro-Nord sono rimasti pressoché stabili. I consumi non crescono ormai da quattro anni: in termini reali, rispetto al valore del 2000, il risultato dei consumi risulta inferiore di oltre tre miliardi.
Passando alla disoccupazione, nel rapporto si legge che il tasso del 2010 è stato del 13,6% nel meridione contro il 6,3% del Centro-Nord.
Rispetto al 2009, nel 2010 i disoccupati meridionali sono cresciuti di 19.600 unità, un netto 2%, una crescita sentita soprattutto in Molise dove l’aumento è stato addirittura del 18% con un aumento di 1.900 unità. Anche in Campania l’incremento della disoccupazione è stata elevata, segnando un aumento dell’11,5% a 29.800 unità e arrivando quindi alla percentuale record del 15,5% seguita dalla Sicilia con il 14,4% e dalla Sardegna con il 13,5%. Al contrario del Meridione al Centro-Nord la disoccupazione è scesa di 14.200 unità attestandosi a 1,2 punti percentuali.
Entrando nel particolare risulta che la vera e propria emergenza colpisce i giovani e le donne. Dal 2008 al 2011, infatti, gli under 34 che hanno perso il lavoro al Sud sono stati 329 mila, mentre nel 2011 il tasso di occupazione in età 15-64 anni è stato del 44% nel Mezzogiorno e del 64% nel Centro-Nord.
“A livello regionale – si legge ancora nel Rapporto – il tasso di occupazione più alto si registra in Abruzzo (56,8%), il più basso in Campania, dove continua a lavorare meno del 40% della popolazione in età da lavoro. In valori assoluti, crescono gli occupati in Abruzzo (+13.300), Puglia (+11.600), Sardegna (+8.300), Calabria (+3.900) e Basilicata (+2.500). In calo invece in Molise (- 1.100), Sicilia (-7.300) e Campania (-16.700).
Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile per la classe 25-34 anni è giunto nel 2011 ad appena il 47,6%, pari cioè a meno di un giovane su due, a fronte del 75% del Centro-Nord, cioè di tre impiegati su quattro. Situazione drammatica per le giovani donne meridionali, ferme nel 2011 al 24%, pari a mano di una su quattro in età lavorativa, che spinge le stesse di fatto a una segregazione occupazionale rispetto sia ai maschi che alle altre donne italiane”.
Altro rischio reale affrontato dalla Svimez nell’indagine è la scomparsa di interi comparti dell’industria italiana nel Sud. Negli ultimi quattro anni infatti, dal 2007 al 2011, l’industria al Sud ha perso 147 mila attività, il triplo del Centro-Nord, ben un -15,5% contro un -5,5%. In calo nel 2011 anche gli investimenti fissi lordi, -4,9% nel Mezzogiorno e -1,3% del resto d’Italia.
Si evidenzia quindi uno scenario di profonda e continua desertificazione industriale, soprattutto legate all’incapacità delle aziende meridionali di puntare all’internazionalizzazione e alla delocalizzazione delle fasi produttive, in modo tale accrescere la competitività del sistema.
La situazione è resa ancora più difficile dalla presenza al Sud di costi di lavoro più alti rispetto ai concorrenti europei e asiatici.
Grave anche la situazione riguardante il Pil pro capite: nel 2011 il Mezzogiorno ha confermato lo stesso livello del 57,7% del valore del Centro Nord del 2010. In un decennio il recupero del divario è stato solo di un punto e mezzo percentuale, dal 56,1% al 57,7%.
Secondo Svimez se la situazione non cambia ci vorranno circa 400 anni per recuperare lo svantaggio che separa Sud e Nord.
“In valori assoluti – si legge -, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.944 euro, risultante dalla media tra i 30.262 euro del Centro-Nord e i 17.645 del Mezzogiorno.
Nel 2011 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta, con 32.602 euro, seguita da Lombardia (32.538), Trentino Alto Adige (32.288), Emilia Romagna (31.524 euro) e Lazio (30.884 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.980 euro). Seguono la Sardegna (20.080), il Molise (19.748), la Basilicata (18.639 euro), la Sicilia (17.671), la Puglia (17.102) e la Calabria (16.603)”.
La regione più povera è invece la Campania, con 16.448 euro.
Nel dettaglio il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2011 di oltre 16 mila euro.
In base alle stime, nel 2012 il Pil italiano dovrebbe far registrare una contrazione del 2,5%, quale risultato tra il -2,2% del Centro-Nord e il -3,5% del Sud.
“A causare la contrazione dell’attività produttiva – secondo Svimez – è stato il forte calo dei consumi (-2,4% al Centro- Nord, che diventa – 3,8% al Sud) e il vero e proprio crollo degli investimenti. Investimenti che segnano un calo del 5,7% al Centro-Nord, più del doppio al Sud che segna una contrazione del 13,5%.
Da segnalare, a testimonianza della gravità della crisi, che la forte battuta d’arresto viene dai consumi di beni (-5% al Centro-Nord, -5.5% al Sud)”.
Anche i redditi delle famiglie riscontrano un calo: -0,6% al Centro-Nord, -0,5% al Sud.
Bene sul piano delle esportazioni: nel 2012 si prevede una crescita dell’1,7% al Sud e dell’1,9% al Centro-Nord.
Non c’è da stupirsi, dunque, se nel 2010 più di una persona su dieci residente al Sud è emigrata: negli ultimi venti anni sono “scappati” circa 2,5 milioni di persone. Tornando al 2010 risultano essere 109 mila i meridionali che si sono trasferiti nelle regioni del Centro-Nord, mentre sono circa 67 mila quelli che ritornati dal Nord.
Secondo i dati raccolti “la regione più attrattiva per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha accolto nel 2010 in media quasi un migrante su quattro, seguita dall’Emilia Romagna. In Abruzzo, Molise e Campania la prima regione di destinazione resta il Lazio. In dieci anni, dal 2000 al 2010, oltre un milione e 350 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale, le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-115 mila), Palermo (-20 mila), Bari (-16 mila) e Catania (-11 mila). Colpiti anche Torre del Greco (-20 mila), Nola (-12 mila), Taranto (-14 mila) e Aversa (-11.500). Ad attrarre meridionali soprattutto Roma (+73 mila), Milano (+57 mila), Bologna (+24 mila), Parma (+14 mila), Modena (+15.700), Reggio Emilia (+13mila), Bergamo (+11 mila)”.
Nel 2011, secondo le stime, i lavoratori irregolari in Italia arrivano a due milioni 900 mila unità, di cui un milione e 200 mila al Sud. “Se al Centro-Nord il lavoro nero interessa prevalentemente secondi lavori e stranieri non regolarizzati, al Sud vede invece protagonisti irregolari residenti. A livello di settore, nel 2011 al Sud è irregolare un lavoratore su 4 in agricoltura (25%), il 22% nelle costruzioni, il 14% nell’industria. A livello regionale in valori assoluti si stimano 296 mila lavoratori in nero in Sicilia, 253 mila in Campania, 227 mila in Puglia, 185 mila in Calabria, 131 mila in Sardegna, 62 mila in Abruzzo, 46 mila in Basilicata e 23 mila in Molise”, conclude il Rapporto.

 

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