Natura, cultura e società. Le confessioni di un italiano elvetizzato | T-Mag | il magazine di Tecnè

Natura, cultura e società. Le confessioni di un italiano elvetizzato

di Giuliano Castigliego

“Brevi cenni sull’universo” è forse il più benevolo dei commenti che un titolo del genere può suscitare. Cerco allora di precisare lo spunto che ne è all’origine per circoscriverne, almeno un poco, l’estensione. L’idea nasce da un ironico scambio di battute via Twitter con @fabiogermani dopo una passeggiata in uno splendido bosco di Coira al ritorno da un altrettanto affascinante viaggio a Roma.

La constatazione di partenza è quella, molto banale, di un italiano della della bassa bresciana, residente in Svizzera da 17 anni, che ha imparato per esperienza diretta a conoscere ed apprezzare il rapporto degli svizzeri, e più in generale dei cittadini mitteleuropei con la natura, di cui il bosco è esempio per antonomasia.
È un rapporto che nasce dal contatto del bambino, oltre che con la madre, anche con il suolo, sia esso il pavimento di casa, il cortile, il giardino od il campo. Un contatto che prosegue qui ben oltre l’età neonatale. Quello che è l’orrore per tante madri italiane (lo sporco, i batteri, le infezioni della terra) è invece naturale, anzi la natura, per tante madri svizzere, che lasciano le bambine (userò d’ora in poi solo il femmmninile per intendere entrambi i generi) amenamente imbrattarsi a e con la terra – trovando poi, s’intende, l’orrore da qualche altra parte. Il rapporto con la natura cresce e si sviluppa da bambina con quella seria infinita di passeggiate, gite, scarpinate, arrampicate, discese, escursioni a piedi, in bicicletta, sci, pattini – ed ogni altro attrezzo privo di motore che tocchi il suolo – cui le bambine vengono abituate con meticolosa gradualità in famiglia e a scuola. Naturalmente anche le bambine svizzere e mitteleuropee rognano, come tutte le altre bambine del mondo, di fronte alla fatica, ma quando vedono che frignare non lacera i cuori di mamme e papà, attivano, anzichè le corde vocali, i muscoli e – chi più chi meno – camminano, come han sempre d’altro canto camminato le bambine nelle nostre campagne e montagne. E le maestre si possono pure permettere di far compiere alle scolare delle elementari escursioni di qualche ora – intesa proprio come unità di tempo di 60 minuti – senza che medici di base e pediatri vengano allertati, insegnanti e presidi vengano insultate e provvedimenti giuridici vengano minacciati o addirittura messi in atto. Come tutti i riti sociali, anche quello delle passeggiate familiari e delle escursioni scolastiche è divenuto pure mito ed è soggetto ad abusi ed a mistificazioni. Con doveroso spirito critico, va comunque riconosciuto che la gestione dello sforzo e della fatica (fisica e psicologica) è tutt’ora percepita come parte integrante di quel compito didattico che i genitori affidano in parte a sè stessi ed in parte alle insegnanti. Il rapporto con la natura si sviluppa e si perfeziona poi nell’adolescenza e nella giovinezza, divenendo spesso sport, passione od almeno abitudine ad uno stretto e quasi intimo contatto con prati, boschi, monti e laghi, che entra a far parte dello stile di vita che ognuno porterà poi con sé. D’altro canto la natura ha fatto in tutto il mondo da complice sfondo – e continua per fortuna talvolta ancora a farlo – alle prime esperienze amorose e sessuali di tanti di noi, su notturne e più o meno romantiche spiagge o in radure che nell’eccitazione del momento parevan, nonostante il degrado ambientale, non meno leggiadre di quelle di Angelica e Medoro. Ma al legame con la natura si attinge qui anche e soprattutto in quei momenti di malessere o di crisi in cui il rapporto con gli altri e magari col mondo intero sembra venir meno. Lo stretto rapporto con la natura contrassegna poi e quasi si identifica con il diretto ed individuale confronto con morte. Percepita appunto come evento naturale con la quale i conti vanno regolati nella maggior autonomia e riservatezza possibili. Forse si può spiegare (anche) così quella tendenza qui così “naturale” e diffusa a determinare autonomamente (e puntigliosamente) il volere del paziente contro ogni ingerenza della tecnica e della pur così raffinata cultura medica in fine di vita. Ma anche la tendenza a determinare la propria stessa morte, sia in forma di suicidio assistito che di suicidio vero e proprio (qui anche indicato come freier Tod, libera morte) ed ancora la predilezione per forme di sepoltura a stretto contatto con la natura, dove è una semplice croce o lapide priva di fotografia ad identificare il tumulo o le ceneri vengono disperse.
“Di tal genere, se non tali appunto, erano i” miei pensieri passeggiando, come tante altre volte, con il mio cane per lo splendido bosco di Coira, un pezzo di natura, che forse non a caso, sovrasta la città di Coira e giace poco lontano dagli ospedali, al limitar del cimitero cittadino.

Giuliano Castigliego: specialista in psichiatria, FMH psichiatria e psicoterapia, libero professionista, società svizzera Balint, Accademia psicoanalitica Svizzera italiana, presidente uma.na.mente

 

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