Non un Paese per giornalisti
Negli ultimi giorni tra i “venti di guerra” coreani e le minacce nucleari, vere o presunte, di Pyongyang ai cugini del Sud e agli Stati Uniti, si è persa la bussola rispetto ai tanti conflitti che nel silenzio continuano a mietere vittime nel mondo. Certo, le notizie che giungono da quelle parti non fanno dormire tranquilli i leader mondiali. Si è appreso martedì, infatti, che il ministero della Difesa giapponese ha sistemato batterie anti-missile Patriot Advanced Capability-3 (Pac3) nel quartier generale di Ichigaya, nel centro di Tokyo, e in altri punti dell’area metropolitana (Asaka e Narashino) per fronteggiare eventuali attacchi nordcoreani. Dal canto suo, la Corea del Nord ha invitato i cittadini stranieri presenti in quella del Sud a lasciare il Paese in caso di conflitto. Tutti gli occhi del mondo sono rivolti a Pyongyang. Intanto in Siria – che molti sembrano aver dimenticato – la guerra civile prosegue e nessuna delle parti – ribelli da un lato, il regime di Bashar al Assad dall’altro – intende arretrare di un millimetro. Le ultime riferiscono di nuove stragi ad Aleppo e a Damasco. Ma le notizie che giungono dal Paese sono piuttosto frammentate, anche a causa di una libertà di stampa praticamente inesistente (l’indice di Reporters sans frontières colloca, non a caso, la Siria al 176esimo posto). I giornalisti stranieri, in compenso, corrono rischi un giorno sì e l’altro pure e sono costretti a lavorare in condizioni critiche.
Nella serata di venerdì scorso si è venuto a sapere dello stato di fermo da parte di miliziani fondamentalisti, avvenuto in verità alcuni giorni prima, nel nord della Siria ai danni di quattro giornalisti italiani (Amedeo Ricucci, inviato Rai, Elio Colavolpe, fotografo, Andrea Vignali, documentarista, Susan Dabbous, giornalista italo-siriana, collaboratrice del Foglio e di Avvenire). E non sono gli unici. Stando ai rapporti di Committee to Protect Journalists, solo l’anno scorso hanno perso la vita 28. Altri 21 giornalisti sono stati rapiti, sia da parte delle forze lealiste che da quelle di opposizione. In 13 sono stati rilasciati. mentre gli operatori dell’informazione finiti in prigione sono stati 15. La stampa è particolarmente invisa da entrambe le parti in lotta poiché accusata di ingerenza negli affari interni.